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عودة المغرب للبيت الإفريقي .. قرار شجاع أفسدته “دبلوماسية هاوية”

حينما احتجت رئيسة الحكومة البريطانية السابقة مارغاريت تاتشر على طريقة تعامل “بي بي سي” مع حرب “الفولكلاند” التي خاضتها إنجلترا ضد الأرجنتين في الثمانينات، رد عليها مدير القناة التلفزية الشهيرة: “إننا وسيلة إعلام ولسنا أداة بروباغندا”. فالتلفزيون البريطاني خلال كل فترة الحرب لم يتوان عن إعطاء جميع وجهات النظر، بما فيها الموقف الأرجنتيني. وحتى حينما يكون من الصعب التحلي بالموضوعية، فإن أسلم طريقة للقيام بالواجب الإعلامي بحرفية يمر، بدون شك، عبر تقديم الخبر بتجرد وإغنائه بالتحليلات والآراء على تنوعها، بما فيها تلك التي لا نتفق معها بتاتا.

أستحضر جواب مدير “بي بي سي” وأنا أتابع الطريقة التي تعامل ويتعامل بها الإعلام الرسمي مع مؤتمر الاتحاد الإفريقي الذي انعقد في العاصمة الرواندية كيغالي. فكما هي العادة، فإننا أمام فتح مبين قام به المغرب في أدغال القارة السوداء، بل هناك من استشهد بمراكز بحث “عالمية” أكدت نجاح الخطوة الهادفة إلى استعادة الرباط لمقعده في القارة الإفريقية، مع أنه تكفي إطلالة على الإنترنت لكي يكتشف المرء أن هذه المراكز لا وزن لها ولا تأثير حتى في الحي التي توجد به.

إنها عملية تضليل مستمر تغيب فيها أبجديات العمل الإعلامي لتحل محله تقارير استخباراتية لا قيمة لها في الدفاع عن الموقف المغربي. الهاجس مثل العادة هو إقناع الرأي العام المحلي وخلق إجماع وطني حول “القضية الوطنية”، ولكن بأساليب بدائية أكل عليها الدهر وشرب.

وبما أننا لم نستطع إقناع أي كان في العالم بأسره بعدالة قضيتنا، فإننا نكتفي بغسل دماغ مواطنينا لكي يرددوا: “المغرب في صحرائه والصحراء في مغربها” بطريقة سمجة دون أدنى حس نقدي في زمن تمر به قضية الصحراء بمنعرج خطير جدا.

لنقف عند المعطيات فقط ولنر الوقائع كما هي بدون “رتوش”:

– القمة لم تستمع ولم تناقش رسالة العاهل المغربي.

– لم تتم مناقشة طلب 28 دولة إفريقية بتجميد أنشطة وعضوية “الجمهورية العربية الصحراوية”.

– تأييد رئيسة المفوضية الإفريقية للأطروحة الانفصالية ودعوتها إلى “تصفية الاستعمار في الصحراء والتمكين من تقرير المصير”.

– حث الاتحاد الإفريقي الأمم المتحدة على تنظيم استفتاء لتقرير مصير شعب الصحراء الغربية دون تأخير.

– وقوف جميع الأعضاء ترحما على زعيم البوليساريو.

إنها وقائع وليست آراء.

ما هي النتائج المستخلصة بالنسبة لأي محلل له أدنى دراية بالموضوع؟ نتائج القمة لم تكن في صالح المغرب بتاتا، بل أبانت بالملموس مدى ارتجال الدبلوماسية المغربية وعدم حرفيتها.

إننا أمام هواة أثبتوا منذ زمن بعيد عدم كفاءتهم في تسيير هذا الملف. يرتكبون الخطأ تلو الآخر ويطالبوننا نحن بأن نصفق لهم ونمجد قدراتهم الخارقة في التصدي لـ”أعداء الوحدة الترابية” مستعملين أحسن وسائل الإقناع مع مواطنيهم: “لِّي كْعَى يَرْعفْ”.

إن الانطباع الذي أعطاه المغرب خلال هذه القمة هو أنه دولة ضعيفة ومعزولة إقليميا أكثر مما كنا نتصور. والأدهى هو أن الدولة تعمل جاهدة عبر مثل هذه القرارات على فقدان ما تبقى من مصداقيتها في هذا الملف.

ولكي أكون واضحا ولا يتم تأويل كلامي بشكل خاطئ، فإن المشكل ليس في الخطوة في حد ذاتها، بل في أسلوب إيصالها، سواء للرأي العام المحلي أو الدولي. عودة المغرب إلى محيطه الإفريقي أمر مرغوب، والقرار في حد ذاته قرار شجاع، ولكن الأخطاء الفظيعة على المستوى التواصلي هي التي أفقدت الخطوة كل بريقها.

يكفي الإعداد مسبقا وعبر نقاش مفتوح يطرح كل الحيثيات التي تلف هذه العودة مع التركيز على أن المغرب في حاجة ماسة إلى إيقاف مد “البوليساريو” إفريقيا. وبالطبع هناك فاتورة يجب دفعها، خاصة وأن المغرب طالما تعامل مع هذه المنظمة بتعال وعجرفة. فالثمن غال ويجب شرحه للرأي العام المحلي حتى لا يفاجأ بقرارات تنافي الخطاب الرسمي وتهدم مصداقيته.

إن الحفاظ على الإجماع الوطني لا يمر عبر التكتم والتضليل، بل عبر الشرح والإقناع. وأول ما يجب قوله للرأي العام هو أن هذه العودة ستكون مع احتفاظ “الجمهورية الصحراوية العربية الديمقراطية” بمقعدها وما يتبع ذلك من وثائق رسمية تضم خريطة المغرب بدون “أقاليمه الجنوبية”. هذا ما يتوجب شرحه لاحترام عقول المغاربة ولتجاوز ذلك التصور “المخزني” الذي يعتبرنا شعبا من القاصرين.

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Nella guerra tra Israele e Hamas il manicheismo non potrà mai condurre alla pace

Per avvicinarsi ad un esito pacifico è necessario riconoscere che gli attori attuali – sia nella leadership israeliana che in quella palestinese – sono incapaci di offrire una reale speranza di riconciliazione

Molte persone hanno la tendenza di vedere i conflitti in termini di una distinzione netta tra bene e male dove le parti coinvolte tendono a rappresentare se stesse come il bene che combatte contro il male rappresentato dal nemico.

Questa interpretazione enfatizza la semplificazione e la polarizzazione delle complessità e delle sfumature presenti in ogni guerra, riducendole a una lotta tra “noi” e “loro”, bene contro male, senza riconoscere che spesso entrambe le parti possono avere ragioni legittime, responsabilità e colpe.

La notizia proveniente dal Cairo, che rivela l’incapacità di Hamas e Israele di raggiungere un accordo per una tregua in vista del mese sacro del Ramadan, suscita preoccupazioni significative.

L’annuncio del Presidente Biden sulla costruzione di un porto temporaneo per facilitare l’invio di aiuti ai palestinesi aggiunge ulteriori motivi di inquietudine. Questa decisione sembra indicare che, per l’amministrazione americana, le possibilità di una soluzione pacifica stanno diminuendo, privilegiando invece interventi umanitari diretti, come l’invio di aiuti aerei o, in questo caso, la realizzazione di una struttura portuale provvisoria per assistere i civili palestinesi. Queste misure evidenziano le difficoltà incontrate dagli Stati Uniti, Egitto e Qatar nel mediare efficacemente tra Israele e Hamas per raggiungere una tregua che possa alleviare le sofferenze dei civili.

Nonostante l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Jack Lew, abbia affermato che le negoziazioni sono ancora in corso e che le differenze tra le parti stanno diminuendo, appare evidente che la possibilità di una pace duratura si sta allontanando, lasciando spazio a dinamiche di potere che richiedono un’analisi attenta.

Israele cerca di negoziare da una posizione di forza, puntando a una vittoria decisiva su Hamas. Al contrario, Hamas cerca di guadagnare terreno sul fronte mediatico, sfruttando la propria posizione in uno scontro militarmente asimmetrico.

Il conflitto è complesso e richiede un’analisi dettagliata. Entrambe le parti sembrano scommettere sul tempo, credendo che questo giochi a loro favore. L’aggiunta di una dimensione ideologica e religiosa al conflitto complica ulteriormente la ricerca di una soluzione equa che possa soddisfare sia israeliani che palestinesi.

Per avanzare verso la pace, è necessario riconoscere che gli attori attuali, sia nella leadership israeliana – con Netanyahu e i suoi alleati della destra religiosa e estremista – sia in quella palestinese, rappresentata da Hamas con il suo approccio terrorista, sono incapaci di offrire una reale speranza di riconciliazione.

Ci troviamo di fronte a una situazione tanto disperata che è imperativo parlare con franchezza, specialmente per coloro che osservano il conflitto da lontano e possono basarsi sui fatti. È evidente che la violenza e la morte non possono costituire una soluzione.

È necessario superare la visione manichea che domina i media, con quelli occidentali spesso favorevoli a Israele e quelli arabi inclini a sostenere Hamas. Bisogna riconoscere le vittime innocenti, sia israeliane che palestinesi, come esseri umani che stanno pagando il prezzo più alto per un conflitto protratto, nel quale le leadership di entrambe le parti hanno mostrato una totale incapacità di superare una visione riduttiva legata all’appartenenza a una specifica tribù o comunità. Riconoscere l’umanità dell’altro è un passo fondamentale verso il progresso in un conflitto che si è trascinato per troppo tempo.

Questo approccio dovrebbe rappresentare solo l’inizio per arrivare a una soluzione politica pragmatica, in cui la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in prima linea, intervenga per fermare l’offensiva militare israeliana e per disarmare Hamas, garantendo sicurezza a tutte le parti coinvolte. È necessario abbandonare le promesse divine a favore di compromessi terreni, che possano porre fine all’insensatezza della guerra e della violenza.

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Perché Hamas ignorando Machiavelli ha trasformato la Guerra di Gaza in un gioco d’azzardo

Rainews 04-11-2023

“Si inizia una guerra quando si vuole, si termina quando si può”, scriveva il grande pensatore politico. Ma chi ha scatenato gli attacchi del 7 ottobre potrebbe ottenere un esito opposto a quello che avrebbe potuto sperare

Niccolò Machiavelli affermava secoli fa: “Si inizia una guerra quando si vuole, si termina quando si può.”

Sembra che i leader di Hamas non abbiano mai preso in considerazione questo pensiero, o, se lo hanno letto, certamente non lo hanno compreso appieno. Quando Hamas ha lanciato la sua operazione “Diluvio di al-Aqsa”, gli obiettivi sembravano chiari. L’obiettivo primario era senza dubbio quello di interrompere il processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Israele e l’Arabia Saudita.

Tra gli altri scopi vi erano la pressione sul governo Netanyahu per la liberazione dei prigionieri palestinesi in cambio degli ostaggi catturati il 7 ottobre, e il tentativo di affermarsi come unico portavoce della causa palestinese, cercando di emarginare i rivali di Fatah “falliti nei loro tentativi di pace con Israele”.

Con l’avanzare del tempo, le azioni di Hamas sembrano più una puntata azzardata in un casinò che una strategia ben pianificata, volta a costringere gli israeliani a negoziare il futuro della regione.

L’offensiva massiccia dell’esercito israeliano sta conferendo al conflitto una dinamica imprevista che potrebbe evolversi in modi che né Hamas né altri avevano anticipato.

Questa situazione potrebbe addirittura segnare l’inizio di uno scenario inedito che ha il potenziale di rimescolare gli equilibri in una regione a lungo vista come epicentro di conflitti costanti.

L’esito del conflitto nella Striscia di Gaza potrebbe avere un impatto non solo a livello regionale, ma sicuramente anche internazionale, dove si sta svolgendo una partita di scacchi il cui esito potrebbe determinare il futuro di una vasta porzione dell’umanità.

Hamas, come Hezbollah, gli Houthi e alcuni gruppi sciiti in Iraq, fa parte di un’alleanza naturale con l’Iran. Quest’ultimo non ha mai nascosto le sue ambizioni di diventare la potenza dominante nella regione, suscitando preoccupazioni in molti paesi arabi, in particolare quelli del Golfo. Un’alleanza tra Riad e Tel Aviv sembrava essere la strategia adeguata per contrastare le ambizioni iraniane.

Teheran si posiziona quotidianamente all’interno di un’alleanza più vasta che comprende la Russia e, soprattutto, la Cina. È nel contesto di questa dinamica che si devono analizzare gli eventi succeduti dal 7 ottobre ad oggi. Solo ampliando la prospettiva possiamo comprendere appieno l’importanza di questa battaglia e giustificare la significativa presenza americana nella regione.

La guerra di Gaza potrebbe dare avvio a un nuovo assetto regionale fondato sul processo di normalizzazione tra Israele e il mondo arabo, con l’Arabia Saudita in prima linea. Con il sostegno degli Stati Uniti, la nuova alleanza regionale potrebbe ergersi come un baluardo capace di contenere l’espansionismo iraniano.

Tuttavia, in questo contesto manca un elemento cruciale: un’entità denominata Stato di Palestina con piena sovranità nazionale e una leadership in grado di fornire solide garanzie per la sicurezza di Israele.

L’apertura del governo israeliano verso una soluzione di questo tipo potrebbe spalancare le porte a un’era inedita, nella quale le monarchie del Golfo, e in particolare l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman, potrebbero rafforzare la loro leadership nel mondo arabo, affermandosi come coloro che sono riusciti a “indurre” Israele a riconoscere il diritto del popolo palestinese a un proprio Stato sovrano.

 

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Tra Hamas e Israele il ruolo chiave del Qatar: perché l’emirato è decisivo nella crisi di Gaza.

Rainews 16-10-2023

Tra questi leader, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha incontrato l’emiro del Qatar, Cheikh Tamim ben Hamad Al-Thani, il 13 ottobre a Doha. Il tema principale dell’incontro riguardava il conflitto a Gaza e gli sforzi del Qatar volti a persuadere Hamas a liberare gli ostaggi.

Da decenni, per ragioni strettamente geopolitiche, il Qatar aspira a consolidarsi come un rilevante mediatore internazionale e, contemporaneamente, come emblema di modernità nel Medio Oriente. Questa posizione è una notevole rivincita per il piccolo stato, frequentemente sotto accusa per presunti legami con il terrorismo e per i suoi rapporti con i Fratelli Musulmani.

Il Qatar è geograficamente posizionato tra due giganti: l’Arabia Saudita e l’Iran. Proprio grazie alla sua capacità di gestire ingenti risorse finanziarie e di coltivare solide relazioni economiche, è riuscito a emergere come uno Stato chiave sullo scenario mondiale. Al momento, il Qatar mantiene rapporti solidi sia con Hamas che con Israele.

Durante la Primavera Araba, il Qatar ha accolto i leader di Hamas, in gran parte perché gli Stati Uniti erano contrari al loro trasferimento in Siria o in Iran. L’idea di fondo era di mutare un’organizzazione precedentemente considerata terroristica in una forza politica, dando inizio a un processo di normalizzazione.

Le relazioni commerciali ed economiche con Israele hanno avuto origine nel 1996. Benché i rapporti tra il Qatar e Benjamin Netanyahu non siano sempre stati idilliaci, sono stati comunque preservati.

Vi è un evidente intento di trasformare Gaza, puntando alla formazione di un’élite e di una classe media progressista, nel tentativo di ridimensionare progressivamente l’influenza di Hamas. Nonostante ciò, gli ultimi attacchi dimostrano che il movimento islamista a Gaza rimane potente e influente.

La posizione del Qatar potrebbe diventare critica alla luce dei recenti eventi, dato che Doha ha da tempo sostenuto finanziariamente Hamas. L’antico legame ideologico tra Qatar e Hamas potrebbe ora rappresentare una spina nel fianco, specialmente considerando che il Qatar viene percepito come sostenitore di un movimento che non ha rinunciato all’uso del terrorismo come mezzo politico.

La situazione evoca l’operazione mediata da Doha due anni fa con gli Stati Uniti e i talebani dell’Afghanistan. Se alcuni l’hanno interpretata come una sconfitta per gli USA, altri l’hanno vista come un ritiro strategico post raggiungimento degli obiettivi.

Anche se gli attori cambiano, il mediatore resta costante nel suo ruolo. La sua forza risiede nell’ospitalità offerta ai leader dei talebani e di Hamas e nel sostegno economico apertamente concesso ai loro movimenti. L’opulento emirato del Golfo detiene un’influenza ineguagliabile nel cercare una soluzione al conflitto: il potere del denaro, che troppo spesso eclissa principi morali e credenze religiose.

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Marocco, Islam