In un articolo pubblicato sul sito di Al Jazeera, Arib Arrantaoui scrive che gli arabi conoscono bene Donald Trump, senza la necessità di aspettare per comprendere le sue posizioni, che sono ormai ampiamente note. Secondo l’analista giordano, l’ex presidente ha governato la Casa Bianca per quattro anni ed è, per sua natura, estremamente loquace, spesso pronto a esprimere senza filtri ciò che gli passa per la testa. Questo atteggiamento, per gli arabi e, in particolare, per la causa palestinese, rappresenta una conferma che Israele, sotto la guida di Netanyahu, ha trovato nella Casa Bianca un alleato ancor più fedele di quanto lo sia stato Joe Biden. L’ex presidente, infatti, non ha fatto praticamente nulla per fermare l’offensiva dell’esercito israeliano dopo gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023.
Durante il suo primo mandato, Trump ha adottato politiche che privilegiavano gli interessi americani rispetto a quelli internazionali, puntando su una linea dura nei confronti dell’Iran, riducendo l’impegno militare in Medio Oriente e cercando di ribaltare l’ordine geopolitico regionale. Molti paesi arabi, in particolare quelli del Golfo, hanno visto in Trump un leader che dava priorità alla stabilità economica e alla sicurezza nella regione, ma anche un leader imprevedibile, pronto a cambiare alleanze e strategie senza preavviso.
Oggi, numerosi osservatori arabi ritengono che la vittoria di Trump possa segnare il ritorno delle sue politiche “America First”. Alcuni dei regimi arabi più legati agli Stati Uniti, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, potrebbero sentirsi rassicurati da una retorica che favorisce la cooperazione con regimi autoritari, come nel caso della normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni paesi arabi sotto l’Accordo di Abramo. Tuttavia, non mancano le preoccupazioni per la sua natura imprevedibile e per le eventuali decisioni unilaterali che potrebbero destabilizzare ulteriormente la regione.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe, inoltre, intensificare le preoccupazioni in Iran e tra i suoi alleati, come il Libano (principalmente rappresentato da Hezbollah), la Siria e altri gruppi filo-iraniani. Durante il suo primo mandato, Trump si è ritirato dall’accordo nucleare con l’Iran (JCPOA), reimponendo sanzioni che hanno avuto un impatto devastante sull’economia iraniana. Un suo eventuale ritorno potrebbe significare una continuazione della politica di “massima pressione” contro Teheran.
Inoltre, alcuni osservatori arabi temono che, sotto la leadership di Trump, gli Stati Uniti potrebbero isolare ulteriormente paesi come il Qatar, che ha avuto rapporti tesi con l’Arabia Saudita e gli Emirati, pur cercando di mantenere buoni legami con l’Iran. Le dichiarazioni critiche di Trump nei confronti di governi che non rispettano i suoi interessi potrebbero essere nuovamente fonte di tensioni.
Un altro aspetto che potrebbe influenzare la reazione dei paesi arabi alla rielezione di Trump riguarda la sua politica verso Israele. Durante il suo primo mandato, Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e ha spostato l’ambasciata statunitense nella città, un gesto che ha suscitato forti critiche da parte dei paesi arabi e musulmani. Tuttavia, alcuni paesi del Golfo, come gli Emirati Arabi Uniti, hanno visto questa mossa come un’opportunità per avvicinarsi a Israele, in particolare per quanto riguarda la cooperazione economica e di sicurezza, soprattutto in un contesto di crescente preoccupazione per la minaccia iraniana.
Con una seconda presidenza di Trump, è probabile che le relazioni tra Israele e i paesi arabi continuino a evolversi, ma ci sarà anche una resistenza diffusa tra i cittadini e i governi che non vogliono legittimare pubblicamente le azioni israeliane contro i palestinesi. L’intensificazione della normalizzazione, sostenuta da Trump, potrebbe provocare ulteriori frizioni con l’opinione pubblica araba.
Un tema centrale nella politica estera americana verso il mondo arabo è la questione palestinese. La posizione di Trump su questo fronte è stata chiara: sostegno incondizionato a Israele e abbandono di una politica equilibrata nei confronti dei palestinesi. La decisione di Trump di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme, così come il riconoscimento della sovranità israeliana sulle Alture del Golan, sono stati eventi che hanno suscitato indignazione nei paesi arabi.
Le reazioni alla rielezione di Trump variano tuttavia tra i diversi paesi arabi. In alcune monarchie del Golfo, dove l’influenza americana è forte e le relazioni con Israele si stanno normalizzando, la sua vittoria potrebbe essere vista positivamente. Questi paesi potrebbero interpretarla come un’opportunità per consolidare alleanze strategiche e continuare a beneficiare del sostegno economico e militare degli Stati Uniti.
Al contrario, in paesi come l’Egitto, la Tunisia o la Giordania, dove l’opinione pubblica è spesso più critica nei confronti di Israele e degli Stati Uniti, la rielezione di Trump potrebbe alimentare sentimenti di frustrazione e sfiducia. Inoltre, la sua retorica nazionalista e populista potrebbe esacerbare le tensioni interne in paesi già instabili, creando nuove sfide per i leader arabi che devono gestire la delicata relazione tra gli Stati Uniti e i loro popoli.
La vittoria di Trump nel 2024 solleverà molte incognite per i paesi arabi, tra opportunità e preoccupazioni. Sebbene alcuni paesi possano trarre vantaggio dal suo ritorno al potere, altri temono che le sue politiche aggressive e le sue azioni unilaterali possano aggravare ulteriormente le divisioni regionali e complicare la stabilità a lungo termine. Come sempre, l’approccio degli Stati Uniti al Medio Oriente dipenderà in gran parte dalle dinamiche politiche interne statunitensi e dalle risposte dei leader arabi, che si troveranno a navigare una geopolitica sempre più complessa.