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Aleppo è espugnata: perché in Siria non si combatte solo una guerra civile ma un conflitto globale

Zouhir Louassini (Rainews)
Aleppo, la città simbolo delle tragedie siriane, torna al centro del conflitto che da oltre tredici anni dilania il Paese. Non più soltanto rovine e memoria di una guerra senza fine, oggi rappresenta l’epicentro di una nuova offensiva che vede i gruppi ribelli jihadisti sfidare le forze del regime di Bashar al-Assad. Una battaglia che non riguarda solo il controllo del territorio, ma anche il futuro stesso di un Paese intrappolato in un ciclo di instabilità e devastazione.
L’avanzata dei ribelli ha costretto le truppe governative a una ritirata precipitosa, mandando in frantumi anni di conquiste militari ottenute grazie al sostegno di Russia e Iran. La perdita di Aleppo non sarebbe solo un colpo strategico per Assad, ma anche un duro contraccolpo simbolico: la città, riconquistata nel 2016 e celebrata come baluardo della resilienza del regime, rischia di trasformarsi in un monumento all’instabilità e alla fragilità che definiscono la Siria di oggi.
L’avanzata delle milizie ribelli non è casuale: è il risultato di una strategia mirata a sfruttare le debolezze del governo in un momento di apparente stallo tra i suoi alleati. La Russia, impegnata da anni a consolidare il potere di Assad, ha ripreso i raid aerei su Aleppo nel tentativo di fermare l’offensiva. Tuttavia, questi interventi rivelano i limiti del sostegno russo, sempre più condizionato da altre priorità geopolitiche. Anche l’Iran, alleato chiave del regime, sta subendo significative difficoltà: le sue milizie in Siria sono continuamente sotto attacco, sia da parte dei ribelli sia per via dei raid israeliani.
Nel frattempo, la Turchia continua a giocare un ruolo ambiguo. Ankara, che da anni appoggia alcune fazioni ribelli, sembra sfruttare questa nuova avanzata per spingere Assad a negoziare condizioni favorevoli alla sicurezza dei propri confini, minacciati dalle forze curde. Tuttavia, questa strategia rischia di alimentare ulteriormente il caos, consolidando la presenza di movimenti jihadisti nella regione. Il ritorno delle bandiere di gruppi come Hayat Tahrir al-Sham (HTS) ad Aleppo evidenzia quanto sia difficile stabilire un controllo stabile del territorio. HTS, erede di al-Qaeda, continua a sfruttare il vuoto di potere e l’instabilità per riaffermarsi come attore centrale nel conflitto.
Mentre le potenze internazionali perseguono i loro interessi, la popolazione civile continua a sopportare il peso maggiore del conflitto. La crisi umanitaria in Siria è tra le peggiori al mondo: milioni di persone vivono in condizioni disumane, prive di accesso a cibo, acqua pulita e assistenza sanitaria. Organizzazioni come Save the Children e l’UNHCR lanciano l’allarme: milioni di bambini stanno crescendo senza istruzione, sicurezza e prospettive per il futuro. Le immagini di Aleppo, con i suoi edifici distrutti e le strade deserte, raccontano una storia di sofferenza e abbandono, mentre la comunità internazionale sembra aver distolto lo sguardo, relegando la Siria a una crisi cronica senza soluzioni all’orizzonte.
Il conflitto siriano non è mai stato una semplice guerra civile: è un campo di battaglia globale, in cui Turchia, Iran, Russia, Israele e altri attori internazionali intrecciano interessi strategici e lotte di potere. Solo riconoscendo questa intricata rete di dinamiche geopolitiche è possibile comprendere appieno gli ultimi sviluppi e il loro impatto sul futuro dell’intera regione.