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È morto il Papa del dialogo, che ha costruito ponti tra l’Occidente cristiano e l’Islam

E oggi, mentre il mondo è ancora attraversato da guerre, odio e propaganda, quello che ci ha lasciato è una responsabilità: non lasciare che quei ponti crollino

 

In un’epoca lacerata da sospetti, paure e divisioni, Papa Francesco ha scelto una strada diversa: quella del dialogo vero. Non formale, non strategico. Un dialogo umano, coraggioso, profondo. E per chi, come me, è cresciuto nella cultura islamica, quel dialogo non è stato solo un gesto simbolico: è stato un segno di rispetto, di ascolto, di riconoscimento.

Papa Francesco ha parlato con noi, non solo di noi. E per questo, nel mondo musulmano, è stato profondamente rispettato. Stimato. Molti — credenti e non — hanno visto in lui non solo il capo della Chiesa cattolica, ma un uomo capace di farsi ponte. Di capire che non esiste vera pace se escludi l’altro. Di dire no alla paura, no alla propaganda, sì alla verità.

Quando l’immagine dell’Islam in Occidente era oscurata da pregiudizi e ridotta a caricatura di violenza, Papa Francesco ha rifiutato la logica dello “scontro di civiltà”. Ha parlato di fratellanza. Ha cercato l’incontro, anche quando farlo significava sfidare luoghi comuni e rischiare l’incomprensione. Non ha mai ceduto alla retorica della contrapposizione. Ha preferito le parole difficili della pace.

A Rabat, nel marzo 2019, davanti a migliaia di musulmani e al re Mohammed VI, Francesco ha detto qualcosa che ancora oggi mi porto dentro: «Il dialogo interreligioso è una condizione essenziale per la pace nel mondo». Parole semplici, ma vere. Quel giorno non ha parlato soltanto ai musulmani, ha parlato con tutta l’umanità. Ha voluto ricordare che il dialogo tra le fedi non è una scelta diplomatica, ma una necessità per costruire la pace, per riconoscere l’altro, per imparare a convivere senza paura. Ha mostrato che incontrarsi non significa rinunciare alla propria identità, ma renderla più forte attraverso il rispetto reciproco.

Pochi mesi prima, negli Emirati Arabi Uniti, aveva firmato con il Grande Imam di al-Azhar il “Documento sulla fratellanza umana”. Un testo che rifiuta la violenza e afferma che la fede – ogni fede – deve essere forza di riconciliazione, non di separazione. È stato un gesto che ha fatto storia.

Il viaggio in Iraq, paese martoriato da decenni di guerre e divisioni, è stato un altro atto di coraggio. L’incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani ha mostrato al mondo che anche le ferite più profonde si possono curare solo partendo dal rispetto. La presenza del Papa tra i musulmani sciiti è stata un segno potente di vicinanza e solidarietà.

Nel 2024 è andato in Indonesia, il Paese musulmano più popoloso del pianeta. Anche lì ha scelto di incontrare, ascoltare, dialogare. Alla Moschea Istiqlal, a Jakarta, ha parlato non solo come capo della Chiesa cattolica, ma come uomo consapevole che senza il contributo del mondo islamico non può esistere una pace vera.

Già nel 2014, in Turchia, aveva pregato nella Moschea Blu, a fianco dei leader musulmani. Era un gesto semplice, ma per molti inatteso. Un gesto che diceva: “Siamo diversi, ma non nemici. Possiamo pregare vicini, senza tradire la nostra fede”.

Papa Francesco ha fatto qualcosa che molti leader, religiosi e non, evitano: ha costruito ponti. Con pazienza, con umiltà, con tenacia. E quei ponti oggi sono la sua eredità più preziosa.

Per noi di cultura musulmana, il suo dialogo è stato un invito sincero a camminare insieme. Non per somigliarci, ma per capirci. Per rispettarci. Perché il dialogo autentico non cancella le differenze, le attraversa con dignità e coraggio.

Oggi che se ne va, sentiamo il peso di una voce che mancherà. Una voce limpida, libera, che ha saputo difendere la dignità di ogni essere umano. Papa Francesco non ha mai cercato scorciatoie: ha parlato a tutti, con tutti, soprattutto quando era difficile. Per questo la sua figura resterà viva, anche fuori dalla Chiesa. Anche tra noi.

E oggi, mentre il mondo è ancora attraversato da guerre, odio e propaganda, quello che ci ha lasciato è una responsabilità: non lasciare che quei ponti crollino.

Perché, in fondo, il dialogo è l’unica strada che resta quando tutto il resto ha fallito.

Rahmatullahi ‘alayh. Che la misericordia di Dio sia su di lui.

Rainews (21 aprile 2025)

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