Connect with us

Articoli

Les seuls interlocuteurs possibles

Il y a plusieurs années, lors d’une rencontre organisée à la mosquée de Madrid sur le dialogue entre musulmans et chrétiens, je vécus une expérience qui me fit comprendre combien il est difficile d’arriver à un vrai dialogue entre les religions. Au congrès était présent un jeune religieux, imam d’une petite mosquée dans une localité espagnole, qui me racontait aussi comment il avait été soutenu par les sœurs catholiques pour construire son lieu de culte et comment l’Eglise avait apporté son aide à la petite communauté musulmane de la zone. Une troisième personne qui était là avec nous, de façon un peu provocatrice, dit avec un sourire : « Mais alors, ce ne sont pas des infidèles ! ». Le religieux répliqua agacé : « Ce sont toujours des infidèles et leur seul salut est dans la conversion à l’islam ! ». Et il partit vers la salle pour participer au débat prévu sur le dialogue religieux.

Avec le temps, j’ai appris que l’on dialogue non seulement avec qui veut dialoguer, mais aussi avec qui peut effectivement le faire. Le dialogue entre les religions ne peut pas en effet consister uniquement à se rencontrer dans des congrès pour parler du temps, de la nourriture ; et encore moins à se limiter à exalter les mérites de sa propre foi. Le dialogue a besoin de sincérité, d’estime entre les interlocuteurs et, surtout, d’une vraie connaissance de l’autre.

Il y a longtemps, en 1967, l’historien et sociologue Abdallah Laroui publia en France l’un des livres les plus utiles pour comprendre la réalité arabe et son évolution : L’idéologie arabe contemporaine: essai critique, avec une introduction de Maxime Rodinson. Dans cet ouvrage, il identifie avec perspicacité le dénominateur commun qui a joué un rôle fondamental dans l’élaboration et dans l’expression de toutes les idéologies dans le monde arable : le rapport avec l’occident. Depuis un siècle, en effet, les arabes ne cessent de se définir en relation avec le monde occidental et avec ses valeurs.

Pour Laroui, cette recherche de soi-même a engendré trois types d’idéologies ou mieux trois « types d’arabes ». Le premier type est le « libéral » : c’est un homme politique, convaincu que le retard du monde arabe serait le résultat d’innombrables siècles d’obscurantisme sous la domination ottomane ; la solution, à son avis, se trouve dans la philosophie des Lumières et dans la défense de la démocratie libérale.

Le « technophile » est le deuxième type : celui-ci croit que ni la liberté politique ni le parlement ne sont le secret de la puissance de l’occident. Celui-ci résiderait en revanche dans la technologie et dans les sciences appliquées à élargir sa domination sur le monde.

Enfin, il y a le « clerc », l’homme religieux, qui a conservé bien ferme l’opposition entre occident et orient dans le cadre du rapport entre christianisme et islam ; ce troisième type d’arabe tente de montrer que l’islam a été et reste supérieur au christianisme.

Trois types par conséquent. Pour les deux premiers l’occident peut offrir des modèles à suivre ; pour le troisième, en revanche, en dehors de son propre monde il n’existe qu’une menace contre laquelle il faut réagir. Pour diverses raisons, difficiles à résumer en un bref article, aujourd’hui c’est le dernier type qui prédomine culturellement dans le monde arabe.

Le troisième type résume une réalité très complexe. En elle, privée de vraies institutions religieuses qui en orientent les choix, ceux qui ont un minimum d’influence sont incapables de sortir de schémas mentaux, idéologiques, politiques, appartenant à d’autres époques. Dans le même temps, ceux qui ont modernisé leur approche au problème restent totalement isolés.

Telle est aujourd’hui la situation dans le monde arabe. Des réalités extrémistes, comme l’EI, un groupe qui ne dépasse pas les vingt mille personnes, ne sont que la pointe de l’iceberg. Si l’on veut commencer à faire fondre cet énorme bloc de glace, il serait juste et opportun de partir du fait que les musulmans modérés, bien que réduits au silence, sont la très grande majorité. Ils sont les uniques interlocuteurs possibles pour un dialogue basé sur la connaissance, sur le respect et sur l’estime réciproque.

Articoli

Il messaggio di Netanyahu e la nuova deterrenza di Israele: il rischio è escalation fuori controllo

Né Hamas, né l’Iran, né Hezbollah erano realmente pronti per la guerra, così come l’estrema destra israeliana guidata da Netanyahu non è pronta per la pace.

di Zouhir Louassini (Rainews)

Chi aveva messo in dubbio l’efficacia del sistema di sicurezza israeliano dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 ha trovato risposte chiare e convincenti con i recenti attacchi mirati di Israele, che hanno colpito i leader di Hezbollah.

In precedenza, Israele aveva orchestrato e portato a termine l’uccisione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, nella capitale iraniana, inviando un segnale inequivocabile alle autorità iraniane: Israele distingue nettamente tra chi minaccia e chi agisce senza preavviso. Il Medio Oriente è ormai in uno stato di guerra, e ogni analisi seria che miri a comprendere la complessità della regione deve considerare numerosi aspetti politici, diplomatici e, soprattutto, simbolici, che spesso rendono decisioni difficili da comprendere se viste attraverso una lente esclusivamente occidentale.

Il governo di Netanyahu e l’estrema destra israeliana non si limitano più a cercare di vincere le proprie battaglie, ma mirano a umiliare i nemici attraverso operazioni non convenzionali e imprevedibili. Israele vuole dimostrare, sia alla regione mediorientale sia al mondo, che l’attacco di Hamas, in cui sono stati uccisi civili innocenti e presi ostaggi, non ha fatto altro che innescare una reazione devastante della macchina bellica israeliana.

Non c’è dubbio che questa risposta israeliana faccia parte del tentativo di Netanyahu di ristabilire la deterrenza. Ciò che Hamas aveva visto come un’umiliazione per i servizi di intelligence israeliani, in seguito alla violazione della barriera di sicurezza elettronica intorno a Gaza il 7 ottobre 2023, viene quotidianamente affrontato attraverso le operazioni dei servizi segreti israeliani. Questo è il messaggio chiaro che Israele sta inviando ai suoi nemici nella regione.

È fondamentale ricordare che, così come gli estremisti islamisti ritengono che Israele comprenda unicamente il linguaggio della violenza, l’estrema destra israeliana è convinta che gli arabi rispondano soltanto alla forza. Il vero pericolo, oggi, in Medio Oriente sta proprio in questa logica di aggressività reciproca, che alimenta una spirale di violenza dalla quale nessuno può prevedere le conseguenze.

L’escalation, ora concentrata nel sud del Libano e apparentemente fuori controllo, risponde a una visione manichea del mondo in cui il dialogo sembra aver perso ogni spazio e speranza.

A quasi un anno dall’operazione di Hamas che ha scatenato questa nuova fase del conflitto in Medio Oriente – e che, come è facile immaginare, non sarà l’ultima – l’unica certezza è che né Hamas, né l’Iran, né Hezbollah erano realmente pronti per la guerra, così come l’estrema destra israeliana guidata da Netanyahu non è pronta per la pace. Nel frattempo, innocenti continuano a morire da entrambe le parti.

Continue Reading

Articoli

L’uccisione di Haniyeh, la sfida a distanza: la guerra tra Iran e Israele è ancora evitabile?

di Zouhir Louassini (Rainews)

La morte di Haniyeh sottolinea che l’Iran non è la potenza regionale che cerca di rappresentare alla propria opinione pubblica e a quella dell’Islam politico nel mondo arabo-islamico. Questa è una ferita che il regime degli ayatollah non sa come sanare.

La rivalità tra Iran e Israele è parte integrante del clima teso in Medio Oriente sin dall’arrivo di Khomeini e dall’instaurazione del regime islamista a Teheran, dove l’odio verso Israele è divenuto uno strumento cruciale per la gestione dello Stato.

Lo scorso aprile, in risposta all’assassinio di un generale iraniano di alto rango a Damasco da parte di Israele, il governo iraniano ha lanciato per la prima volta un attacco diretto contro Israele, utilizzando oltre 300 missili e droni. Quasi tutti sono stati distrutti dalle difese aeree israeliane, supportate dalle forze americane, britanniche e giordane.

Gli iraniani hanno chiaramente espresso le loro intenzioni, dando a Israele e ai suoi alleati il tempo di prepararsi, e hanno rapidamente pubblicato una dichiarazione presso la sede delle Nazioni Unite a New York, indicando che le loro rappresaglie erano terminate. Era evidente che la risposta iraniana fosse più simbolica e destinata al consumo interno, piuttosto che una reale minaccia per la sicurezza di Israele.

Tuttavia, questo evento deve essere interpretato anche come una mossa significativa dell’Iran nello scacchiere mediorientale. Si tratta di segnali che vanno compresi per evitare ciò che sta iniziando a sembrare una condanna: il Medio Oriente potrebbe essere sull’orlo di una guerra totale, con pericoli sia a livello regionale che globale.

Il messaggio più rilevante è senza dubbio la possibilità di un conflitto diretto contro Israele. Sebbene oggi questa minaccia non abbia ancora effetti concreti, non si può escludere che, con il passare del tempo, la potenza militare iraniana possa diventare più efficace. Il tempo e la sua evoluzione sono elementi centrali in una visione del mondo che l’Islam politico sa abilmente sfruttare. Tutto si inscrive in un disegno divino che si realizza attraverso grande pazienza e profonda fede.

L’Iran, che oggi incarna un’ideologia nata in Egitto negli anni ’20, si propone come un modello di successo, difensore del mondo islamico e dei suoi luoghi sacri, come la moschea al-Aqsa a Gerusalemme. In questa stessa prospettiva, lo Stato Islamico mantiene la pressione esterna presentandosi come l’unico baluardo di resistenza contro la penetrazione americana nella regione. Dopo più di quattro decenni dalla fondazione della Repubblica Islamica in Iran, Teheran è riuscita a estendere la sua influenza in tutta la regione, grazie anche a una serie incalcolabile di errori commessi dalle amministrazioni statunitensi.

Questi errori hanno anche una data precisa: l’11 settembre. Di fronte al deterioramento delle relazioni tra l’Arabia Saudita e l’Occidente e alla diffidenza americana nei confronti dell’Islam wahhabita, da cui proviene Osama Bin Laden, l’Iran si è presentato come un baluardo di stabilità. Le sue immense riserve di petrolio e gas naturale lo rendevano un interlocutore promettente per le economie dei paesi industrializzati. E questa è stata un’arma abilmente sfruttata dalla diplomazia iraniana, con risultati evidenti oggi, osservabili attentamente su qualsiasi mappa geopolitica.

La via tra Iran e Israele è diventata diretta dal momento che lo Stato iracheno è ormai quasi inesistente e l’unica forza organizzata rimasta sono le milizie sciite filo-iraniane. Lo stesso si può dire della Siria di Assad, del Libano dominato da Hezbollah e dello Yemen degli Houthi: tutte milizie sciite che difendono gli interessi iraniani. Da aggiungere a questo quadro c’è Hamas, che, pur essendo un movimento sunnita, è ormai da anni parte integrante della strategia iraniana nella regione.

Gestire il tempo sta diventando un’arma cruciale per il regime iraniano. Attendere il momento opportuno per agire è una strategia efficace per un regime che ha dimostrato una notevole abilità nel manovrare e nel comprendere quando e come reagire. L’Iran è consapevole che una guerra diretta con Israele, in questo momento, non sarebbe vantaggiosa per i suoi interessi. In questo contesto, sostenere l’attuazione del cessate il fuoco proposto da Biden tra Israele e Hamas può rappresentare un modo per “salvare la faccia.”

Un altro elemento da considerare è l’imminente elezione negli Stati Uniti, che potrebbe cambiare le dinamiche in gioco. L’Iran sa di non avere alcun interesse in una vittoria di Donald Trump, il candidato preferito di Netanyahu, e quindi non desidera ostacolare la campagna democratica di Kamala Harris, la cui vittoria sarebbe vista come il male minore dalle autorità iraniane.

Continue Reading

Articoli

وهم القوة

 هسبريس .زهير الوسيني

 

وهم القوة
كاريكاتير: عماد السنوني

 

الإسلام السياسي، في زيه المغربي وهو الذي يهمني هنا أساسًا، يمتلك القدرة الكبيرة على تبرير كل شيء. الإيمان بإيديولوجيا مليئة بالقناعات بدلًا من تبني رؤية استراتيجية بعيدة المدى، أصبح يشكل خطرًا حقيقيًا يهدد مستقبل بلادنا إذا لم يتحل زعماء هذا التيار بكثير من التروي والحكمة.

الغرض من هذه التوطئة هو تسليط الضوء على الهجوم الذي نفذته إيران ضد إسرائيل صباح يوم الأحد الماضي، والذي لقي ردود فعل واسعة بين العديد من المتابعين في المغرب. فقد اعتبره الكثيرون، خاصة من أتباع التيار الإسلامي، ردًا بطوليًا على التصرفات الإسرائيلية، سواء تلك التي قامت بها حكومة الاحتلال في غزة خلال الستة أشهر الماضية أو الهجوم الأخير الذي نفذته على القنصلية الإيرانية في دمشق.

الردود الانفعالية التي ظهرت في العديد من التعليقات التي أعقبت الهجوم الإيراني تؤكد مرة أخرى أن الشارع العربي، ومن ضمنه جزء كبير من الشارع المغربي، مازال يسيطر عليه تفكير يفتقر إلى المنطق الذي يمكّنه من فهم العالم المعقد الذي نعيش فيه. تكرار النكسات ربما أفقد العقل العربي القدرة على الاستيعاب، وبالتالي القدرة على بناء رؤية مستقبلية تساعده على تحقيق تحول نوعي ينأى به عن الفوضى التي تهدد وجوده ككيان اجتماعي، بعد أن تبين، ومنذ زمن طويل، غيابه ككيان سياسي فعّال.

لكي نفهم جيدًا ما حصل ليل السبت وصبيحة الأحد الماضيين، يجب العودة للرد الذي نفذته إيران في حدث مماثل قبل أربع سنوات، عندما قتلت الولايات المتحدة قائد فيلق القدس، قاسم سليماني. كانت إيران بحاجة إلى رد فعل رمزي للحفاظ على ماء وجهها، فطلبت الإذن للقيام بذلك. سمحت الولايات المتحدة لإيران بمهاجمة قاعدتها الجوية عين الأسد، مع التأكيد على أن لا أحد سيصاب بأذى. تم إطلاق خمسة عشر صاروخًا على القاعدة، مما تسبب في أضرار طفيفة وبدون خسائر في الأرواح، الأمر الذي علق عليه أحد الظرفاء بشكل ساخر بأنه يجب ترشيح إيران لجائزة نوبل للسلام لنجاحها في إطلاق 15 صاروخًا دون قتل أحد.

الهجوم الأخير على إسرائيل يدخل في هذا الباب ويجب قراءته داخل هذا السياق. رمزية الرد أهم بالنسبة لطهران من نتائجه. فالمسألة هي موجهة أساسًا لرأي عام داخلي في حاجة ماسة لدغدغة عواطفه الجامحة حيث يختلط الكبرياء القومي بنزعة شوفينية تساهم في تكريس سيطرة من بيدهم السلطة. أسلوب معروف تعتمده كل الأنظمة الضعيفة التي تحتاج إلى إبراز عضلاتها الهشة.

كما أن هذا الرد يفيد في تكريس وهم القوة في أذهان المنتمين إلى التيار الإسلامي، وإيران ضمنهم، الذين يحتاجون لأي عملية عسكرية مهما كانت ضحالتها للحديث عن انتصارات يرونها هم لوحدهم فقط.

الأدهى هو أن هذا الهجوم لم يستفد منه فعليًا سوى شخص واحد: نتنياهو، رئيس الحكومة الإسرائيلية المتطرفة. الرجل كان قد وصل لعزلة عالمية تامة نتيجة سياسته الهوجاء في غزة، فإذا بهجمة الألعاب النارية الإيرانية تبعث فيه روحًا جديدة ليصبح مرة أخرى محاورًا للدول العظمى وضامنًا لأمن واستقرار مواطنيه.

المشكلة مع الإخوة المقتنعين بالتيار الإسلامي في المغرب أساسًا، ومع احترامي لآرائهم بطبيعة الحال، أنهم يجدون دائمًا في مقاربتهم السياسية تبريرًا لإقناع أنفسهم بصحة نهجهم عوضًا عن تمحيصه أو البحث عن طريق آخر كفيل بإنتاج تصور مختلف لمجتمع مستعد لمواجهة التحديات الحالية والمستقبلية والتي أصبحت معقدة جدًا.

الإخوة المشارقة لم يفهموا قواعد اللعبة والنتيجة أمامكم تتجلى في دول شبحية تنعدم فيها الدولة وتسيطر عليها مليشيات في العراق وسوريا ولبنان واليمن.

نحن في المغرب، كي لا نسقط في الفخ نفسه، لنترك الأبواب مفتوحة لحوار بناء بين كل فئات المجتمع بدون تخوين للناس بسبب آرائهم، لنشرح حيثيات الواقع الجيوبوليتيكي الجديد بعد فهمه عوضًا عن تجييش المواطنين بقضايا مهما كانت عدالتها فلا يجب استعمالها للمس بالأمن الداخلي للبلاد. لنفهم العالم جيدًا قبل أن ندعو لتغييره. وشرح الواضحات من المفضحات.

Continue Reading

Marocco, Islam