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تعامل الجزائر مع المغرب يتسم بالانتقائية الغارقة في المظلومية

Articolo pubblicato il 01-09-2021 (Hespress)

هناك سيدة سألوها عن ابنتها، فأجابت بأن ابنتها محظوظة لأنها تزوجت “ولد ناس” يعد لها الفطور ويساعدها في أشغال المنزل؛ بل إنه يصر على غسل كل الأواني، بعد الغذاء والعشاء

السيدة نفسها سألوها عن ابنها، فأجابت بأن حظه تعس لأنه يعد الفطور لزوجته ويساعدها في أشغال المنزل؛ بل إنه يصر على غسل الأواني، بعد الغذاء والعشاء.

أتذكر هذه القصة كلما سمعت الرئيس الجزائري يتحدث عن المغرب، أو قرأت تحليلات الصحافة الجزائرية حول الصراع مع الجار الغربي؛ فاستعمال معيارين مختلفين ساعة الحديث عن الخلاف مع المغرب أصبح هو السائد في أحاديث بعض إن لم أقل أغلب الإخوة الجزائريين، الذين يتهافتون على المنابر الإعلامية للدفاع عن الموقف الرسمي.

واضح جدا أن ذاكرة المسؤولين في الجارة الشرقية هي انتقائية بامتياز، لذلك فهي تختار من التاريخ فقط ما يناسب سرديتها الغارقة في المظلومية والذي يطفو باستمرار عبر خطاب متشنج تشوبه عدوانية غير مفهومة، وبالطبع غير مقبولة.

هذه الانتقائية سأكتفي منها هنا بمثال بسيط يوضح أن العلاقات المغربية الجزائرية تتميز بجانب كبير لا علاقة له بالمنطق. وأنه بقليل من الموضوعية يمكن للإخوة الجزائريين أن يفهموا أن خطأ ساستهم الأكبر هو انعدام أي رؤية للمستقبل، الذي يتم تخريبه يوميا بخطاباتهم غير العقلانية.

النظام الجزائري يكرر أنه لا دخل له في قضية الصحراء، وأنها مسألة أممية مرتبطة بتقرير مصير شعب. لو اكتفى قادة الجارة الشرقية بهذه الجملة لما اختلف اثنان بأنه موقف سياسي يحترم؛ ولكن حينما يتم إيواء منظمة وتسليحها وتوفير كل الإمكانيات لتسويق حروبها المتكررة التي يذهب ضحيتها جنود مغاربة، آنذاك وجب استيعاب أن ما قام به جنرالات الجزائر إلى حدود اليوم هو حرب غير معلنة ضد المملكة المغربية. حرب تستمر منذ ست وأربعين سنة يدفع ثمنها كل شعوب المنطقة.

بعد ست وأربعين سنة، خرج مسؤول أممي مغربي وقال إن هناك شعب القبايل كذلك الذي يجب تقرير مصيره. الجملة تعمد صاحبها الاستفزاز لكي يوضح للقادة الجزائريين ولكثير من مسانديهم تناقض خطابهم حول الصحراء. هذا كل ما في الأمر. المغرب لم يأوِ زعماء القبايل على أرضه، لم يسلحهم، لم يعترف بجمهوريتهم، لم يعط لخطاب مبعوثه الأممي أي استمرارية؛ ومع ذلك كان رد فعل القوى السياسية بالجزائر عنيفا. لم يفهموا الرسالة نهائيا، واكتفوا باستغلال الواقعة لتجييش الرأي العام الداخلي ضد المغرب.

ما صبر عليه المغرب ست وأربعون سنة لم يطقه قادة الجزائر ست وأربعين ثانية. إنها القصة نفسها؛ ولكن الجنرالات وبعض المحللين الجزائريين لم يتوانوا في استعمال معيارين مختلفين.

بالطبع، إن قضية الصحراء موجودة في أروقة الأمم المتحدة بعكس قضية القبايل؛ ولكن ما لم يستوعبه صاحب القرار الجزائري هو أنه من السهل استعمال ورقة الاختلافات العرقية لتمزيق الدول، وأن هذا موقف من يدافع عن منطق الاستعمار وليس العكس كما يحلو ليساريي آخر ساعة التشدق به. نعم، من يدافع على استقلال “الصحراء الغربية” هو في النهاية مؤيد لخطاب استعماري محض. عداء البعض لـ”النظام المخزني” أو للملكية بالمغرب لا يمكن أن يعمي الأبصار إلى هذه الدرجة.

هذا العمى هو الذي أصاب القيادة الجزائرية منذ الاستقلال، حيث خالت نفسها رائدة لثورة مستمرة وأنها قوة نافذة إقليميا ولم لا عالميا؟. استمرت في كذب على الذات وتصديق كذبها لستة عقود وما زالت ولم تر إلى حد الآن أنها مجرد نمر من ورق لا يهابه أحد. جنون العظمة هذا سيكون وبالا، لا قدر الله، على شعب نكن له نحن المغاربة كل الود والمحبة.

لقد عملت الدبلوماسية المغربية جيدا بعدم الرد على بيان الخارجية الجزائرية؛ فـ”إذا كان المتكلم أحمق السامع يكون بعقله”، ولكن المرجو هو عدم تأويل هذا الصمت بشكل خاطئ، وهو الأمر الذي تم تكراره باستمرار من طرف قادة الجارة الشرقية. سياسة التروي تصب في خانة المغرب لا شك في ذلك؛ ولكن على الرباط الاستعداد لكل أنواع الاستفزاز بما فيه إمكانية إعلان الحرب من طرف الجزائر كمرحلة أخيرة في وتيرة التصعيد الذي اختاره قادتها. مع هؤلاء كل شيء ممكن.

في انتظار ذلك، على صاحب القرار استغلال هذه المرحلة الإيجابية على الصعيد الدولي؛ فبعدما فهم الجميع أن رد الفعل الجزائري العنيف هو دليل على أن قضية الصحراء قد انتهت وأن الصراع الإقليمي بالمنطقة قد تم حسمه وجب على من بيده الأمور أن يمر إلى مرحلة أكثر جدية في إصلاح الوطن وأن يستعمل سرعة أكبر في تفعيل البناء الديمقراطي للبلاد. هذا هو هاجسنا الحقيقي نحن كمغاربة، وليس ما يفعله النظام في الجارة الشرقية؛ فالشعب الجزائري أدرى بمصلحته، وما علينا نحن سوى احترام إرادته.

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Chi ha paura della pace?

La parola pace in Medio Oriente è stata talmente usata, manipolata e svuotata che oggi sembra quasi impronunciabile. Nonostante decenni di negoziati falliti, guerre senza tregua e cicli infiniti di violenza, resta l’unica via possibile. Ma chi la ostacola? Chi ha davvero paura della pace?

È questa la domanda al centro del nuovo libro di Zouhir Louassini, giornalista e scrittore, che scava nei nodi più dolorosi del conflitto israelo-palestinese. Il volume non indulge in retorica: parte da fatti concreti, come il massacro del 7 ottobre 2023, quando Hamas ha colpito brutalmente civili innocenti, tra i quali anche israeliani impegnati nel dialogo con i palestinesi. Un atto di violenza che ha avuto un unico obiettivo: distruggere ogni possibilità di convivenza.

Ma l’autore non si ferma a denunciare la barbarie di Hamas. Con la stessa lucidità mette in luce le responsabilità del governo Netanyahu e della destra israeliana, che da anni alimentano un clima di paura, colonizzazione e vendetta. Una leadership che ha usato la retorica della sicurezza per rafforzarsi politicamente, mentre la prospettiva di una pace reale si allontanava sempre di più.

Louassini mette in parallelo queste dinamiche con l’uso distorto delle parole: leader che parlano di “pace” mentre alimentano la guerra, promesse che si trasformano in imposizioni, un linguaggio politico che ricorda le distopie di Orwell, dove i significati vengono rovesciati.

Chi ha paura della pace? è un testo giornalistico ma anche una riflessione universale: mostra come la pace faccia paura a chi vive di conflitto, a chi trae forza e consenso dall’odio. E invita i lettori a chiedersi se la guerra sia davvero inevitabile, o se esista ancora spazio per immaginare scenari pragmatici di convivenza.

Non offre illusioni, ma pone la domanda più scomoda e necessaria: la pace è davvero un’utopia, o è la nostra unica possibilità di futuro?

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Partita a scacchi su un ring di pugilato: tra Israele e Iran il nuovo round di una spirale infinita

Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana

 

Nel ring infuocato del Medio Oriente, il conflitto tra Israele e Iran somiglia sempre più a un ibrido tra una partita di scacchi e un incontro di pugilato. Israele gioca con freddezza strategica: colpisce con precisione chirurgica obiettivi militari, basi e infrastrutture sensibili. Ogni mossa è calcolata, ogni attacco ha un valore operativo ma anche simbolico.

L’Iran, invece, sembra un pugile stordito. Reagisce con colpi confusi, spesso imprecisi, più guidato dall’impulso che da un piano. I droni lanciati in massa, i razzi sparati senza un bersaglio definito, le minacce ripetute ma inefficaci: tutto parla di frustrazione più che di forza.

Ma il vero squilibrio non è solo militare. È soprattutto geopolitico. Teheran si ritrova sempre più isolata. I suoi alleati storici sono in difficoltà: Hezbollah è logorato in Libano da attacchi continui e da una crisi economica devastante; gli Houthi in Yemen sono sotto tiro diretto degli Stati Uniti; Hamas, dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, è intrappolato nella guerra brutale di Gaza. La “mezzaluna sciita”, un tempo simbolo dell’influenza regionale iraniana, si è incrinata sotto il peso della risposta israeliana e dell’isolamento diplomatico.

Anche sul piano internazionale, l’Iran non trova più appoggi solidi. La Russia, pur legata da interessi militari e strategici, è assorbita dalla guerra in Ucraina e non ha alcuna intenzione di aprire un nuovo fronte. La Cina mantiene una distanza prudente: intrattiene rapporti economici con Teheran, ma non intende compromettere la sua immagine globale per una potenza sempre più ingombrante. Mosca e Pechino giocano su più tavoli, ma oggi scelgono la cautela. Nessuno è disposto a esporsi per un Iran sempre più isolato.

Israele, al contrario, agisce con la consapevolezza di avere il vento a favore. Gli Stati Uniti garantiscono copertura diplomatica, supporto tecnologico e una forte capacità di deterrenza. Le potenze occidentali, con sfumature diverse, condividono la percezione dell’Iran come minaccia alla stabilità regionale. Anche molti paesi arabi, pur evitando dichiarazioni ufficiali, vedono con favore il contenimento dell’espansionismo iraniano. Non si può parlare di legittimità internazionale – l’ONU non ha mai approvato formalmente le azioni israeliane – ma è chiaro che Tel Aviv opera dentro un contesto di ampio consenso politico, seppur non dichiarato.

Soprattutto, Israele agisce secondo una visione. La risposta all’attacco del 7 ottobre non è stata solo militare: è parte di una strategia a lungo termine per ridisegnare gli equilibri regionali. Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana. È una dottrina fondata su azione preventiva, superiorità tecnologica e iniziativa diplomatica.

Ma tutto questo solleva una domanda cruciale: quanto può durare questa spirale? Fino a quando la sicurezza israeliana potrà basarsi su guerre preventive, attacchi anticipati, operazioni giustificate da minacce reali o anche solo percepite? Perché anche la semplice sensazione di una minaccia, per Israele, si traduce quasi sempre in un’azione militare. È una strategia che ha prodotto risultati tattici, ma ha anche cronicizzato il conflitto. Ogni guerra genera la successiva.

Dal 1948, anno della nascita dello Stato di Israele, il Medio Oriente non ha mai conosciuto una pace duratura. Solo tregue provvisorie, pause tra una crisi e l’altra. Il paradosso è tutto qui: per difendersi, Israele è costretto ad attaccare. Ma ogni attacco riaccende il fuoco, rafforza il nemico, alimenta nuove tensioni.

Forse è il momento di affiancare alla forza una visione politica diversa. Perché la sicurezza, quella vera, nasce anche da una giustizia riconoscibile. E giustizia, in questa regione, significa accettare finalmente la creazione di uno Stato palestinese indipendente, con interlocutori legittimi e affidabili — non certo Hamas. Un processo difficile, certo, ma che potrebbe finalmente dare senso a un equilibrio fondato non solo sulla deterrenza, ma anche sulla legittimità e sul rispetto reciproco.

Finché la pace resterà un’idea astratta e non un progetto concreto, ovvero un “compromesso” ragionevole fra tutti gli Stati della regione, il Medio Oriente continuerà a giocare a scacchi con i pugni. E ogni vittoria, per quanto brillante, sarà solo il preludio a un nuovo round.

Pubblicato il 15/6/2025 su Rainews

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Tangeri, 1890. Intrigo, potere e resistenza: La strategia del pesce nano, il primo romanzo di Zouhir Louassini

Una storia avvincente ispirata a fatti reali che riporta alla luce una pagina dimenticata della storia marocchina, tra spionaggio, tensioni internazionali e dignità ferita.

È disponibile su Amazon La strategia del pesce nano, il primo romanzo dello scrittore e giornalista marocchino Zouhir Louassini. Ambientato nella Tangeri del 1890, il libro trascina il lettore in un’indagine che va oltre il mistero iniziale – l’assassinio di un cittadino italiano – per esplorare gli intricati rapporti di forza tra il Marocco e le grandi potenze coloniali.

Tangeri, all’epoca, era una città di frontiera e d’intrigo, abitata da consoli stranieri, spie, mercanti e diplomatici che operavano sotto la protezione di un sistema consolare arrogante e impunito. Louassini costruisce, con eleganza narrativa e rigore storico, un giallo politico che illumina i meccanismi opachi dell’epoca, le tensioni diplomatiche e le strategie sottili adottate da chi – pur privo di potere militare – cercava di sopravvivere e difendere la propria sovranità.

Il titolo del romanzo, La strategia del pesce nano, diventa emblema di questa resistenza silenziosa: quella di chi, pur piccolo e fragile, riesce a muoversi con astuzia nel mare agitato degli imperi coloniali.

Con uno stile limpido e cinematografico, il romanzo restituisce una Tangeri affascinante e contraddittoria, sospesa tra tradizione e modernità, tra dominio straniero e orgoglio marocchino. Louassini non si limita a raccontare un fatto di cronaca: invita il lettore a riflettere sul presente, sulle relazioni di forza internazionali, e sulla sottile linea tra giustizia e impunità.

 

 

 

 

 

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Marocco, Islam