In un angolo del mondo dove la libertà si decreta e si cancella a colpi di proclami, i Talebani hanno compiuto l’ennesima mossa all’indietro: vietare gli scacchi. Sì, proprio quel gioco millenario, nato in Asia e perfezionato nei secoli come esercizio di strategia, disciplina e meditazione. È ufficiale: anche la torre, l’alfiere e il cavallo sono diventati nemici dello Stato islamico afghano. Il Re è sotto scacco, e non ci sarà scacco matto — perché il gioco stesso è ora haram.
Secondo il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio (un nome che pare uscito da un romanzo Orwelliano ), gli scacchi condurrebbero al peccato, confonderebbero le menti e — orrore! — potrebbero perfino stimolare il pensiero critico. Ed è proprio questo il vero crimine, diciamolo chiaramente. In un paese dove il sapere è visto come un’insidia, ogni forma di riflessione autonoma è una minaccia. Perché mai imparare a pensare tre mosse avanti, quando il presente è già stato deciso per te?
Il paradosso è quasi poetico. Gli scacchi sono un gioco in cui il Re è il pezzo più importante, ma anche il più vulnerabile. Lo si protegge con figure più potenti, ma alla fine — se l’avversario gioca bene — cade. Troppo pericolosa, questa metafora. Meglio cancellarla dal tavolo, letteralmente.
E pensare che per una volta i Talebani erano riusciti a far parlare dell’Afghanistan senza autobombe, senza esecuzioni, senza minacce. Solo grazie a un gioco da tavolo. Ma niente: troppo razionale, troppo libero, e forse — paradossalmente — troppo radicato nella storia della regione. Già, perché gli scacchi non sono un’invenzione occidentale: affondano le loro origini proprio tra India e Persia. Ma poco importa. Quando il pensiero è pericoloso, anche la memoria diventa sospetta.
Ironia della sorte, vietare gli scacchi è un autogol strategico. Se davvero temevano che la gente stesse imparando a pensare come un grande maestro, ora l’hanno motivata ancora di più. Perché la libertà, come il gioco, vive di intuizione, pazienza e coraggio. E spesso nasce proprio da una mossa imprevista.
Nel frattempo, il mondo osserva. C’è chi scrolla le spalle, chi sorride amaro. Ma c’è anche chi, tra un pedone avanzato e una regina minacciata, ricorda che usare la testa non è solo un gioco. È un atto di libertà. Anche — e soprattutto — sulla scacchiera.