La morte di Haniyeh sottolinea che l’Iran non è la potenza regionale che cerca di rappresentare alla propria opinione pubblica e a quella dell’Islam politico nel mondo arabo-islamico. Questa è una ferita che il regime degli ayatollah non sa come sanare.
La rivalità tra Iran e Israele è parte integrante del clima teso in Medio Oriente sin dall’arrivo di Khomeini e dall’instaurazione del regime islamista a Teheran, dove l’odio verso Israele è divenuto uno strumento cruciale per la gestione dello Stato.
Lo scorso aprile, in risposta all’assassinio di un generale iraniano di alto rango a Damasco da parte di Israele, il governo iraniano ha lanciato per la prima volta un attacco diretto contro Israele, utilizzando oltre 300 missili e droni. Quasi tutti sono stati distrutti dalle difese aeree israeliane, supportate dalle forze americane, britanniche e giordane.
Gli iraniani hanno chiaramente espresso le loro intenzioni, dando a Israele e ai suoi alleati il tempo di prepararsi, e hanno rapidamente pubblicato una dichiarazione presso la sede delle Nazioni Unite a New York, indicando che le loro rappresaglie erano terminate. Era evidente che la risposta iraniana fosse più simbolica e destinata al consumo interno, piuttosto che una reale minaccia per la sicurezza di Israele.
Tuttavia, questo evento deve essere interpretato anche come una mossa significativa dell’Iran nello scacchiere mediorientale. Si tratta di segnali che vanno compresi per evitare ciò che sta iniziando a sembrare una condanna: il Medio Oriente potrebbe essere sull’orlo di una guerra totale, con pericoli sia a livello regionale che globale.
Il messaggio più rilevante è senza dubbio la possibilità di un conflitto diretto contro Israele. Sebbene oggi questa minaccia non abbia ancora effetti concreti, non si può escludere che, con il passare del tempo, la potenza militare iraniana possa diventare più efficace. Il tempo e la sua evoluzione sono elementi centrali in una visione del mondo che l’Islam politico sa abilmente sfruttare. Tutto si inscrive in un disegno divino che si realizza attraverso grande pazienza e profonda fede.
L’Iran, che oggi incarna un’ideologia nata in Egitto negli anni ’20, si propone come un modello di successo, difensore del mondo islamico e dei suoi luoghi sacri, come la moschea al-Aqsa a Gerusalemme. In questa stessa prospettiva, lo Stato Islamico mantiene la pressione esterna presentandosi come l’unico baluardo di resistenza contro la penetrazione americana nella regione. Dopo più di quattro decenni dalla fondazione della Repubblica Islamica in Iran, Teheran è riuscita a estendere la sua influenza in tutta la regione, grazie anche a una serie incalcolabile di errori commessi dalle amministrazioni statunitensi.
Questi errori hanno anche una data precisa: l’11 settembre. Di fronte al deterioramento delle relazioni tra l’Arabia Saudita e l’Occidente e alla diffidenza americana nei confronti dell’Islam wahhabita, da cui proviene Osama Bin Laden, l’Iran si è presentato come un baluardo di stabilità. Le sue immense riserve di petrolio e gas naturale lo rendevano un interlocutore promettente per le economie dei paesi industrializzati. E questa è stata un’arma abilmente sfruttata dalla diplomazia iraniana, con risultati evidenti oggi, osservabili attentamente su qualsiasi mappa geopolitica.
La via tra Iran e Israele è diventata diretta dal momento che lo Stato iracheno è ormai quasi inesistente e l’unica forza organizzata rimasta sono le milizie sciite filo-iraniane. Lo stesso si può dire della Siria di Assad, del Libano dominato da Hezbollah e dello Yemen degli Houthi: tutte milizie sciite che difendono gli interessi iraniani. Da aggiungere a questo quadro c’è Hamas, che, pur essendo un movimento sunnita, è ormai da anni parte integrante della strategia iraniana nella regione.
Gestire il tempo sta diventando un’arma cruciale per il regime iraniano. Attendere il momento opportuno per agire è una strategia efficace per un regime che ha dimostrato una notevole abilità nel manovrare e nel comprendere quando e come reagire. L’Iran è consapevole che una guerra diretta con Israele, in questo momento, non sarebbe vantaggiosa per i suoi interessi. In questo contesto, sostenere l’attuazione del cessate il fuoco proposto da Biden tra Israele e Hamas può rappresentare un modo per “salvare la faccia.”
Un altro elemento da considerare è l’imminente elezione negli Stati Uniti, che potrebbe cambiare le dinamiche in gioco. L’Iran sa di non avere alcun interesse in una vittoria di Donald Trump, il candidato preferito di Netanyahu, e quindi non desidera ostacolare la campagna democratica di Kamala Harris, la cui vittoria sarebbe vista come il male minore dalle autorità iraniane.