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“الأمير ميكيافيلي” يظهر في نتائج الانتخابات التشريعية بالمغرب

Articolo pubblicato su Hespress (17 settembre 2021)
من خلال تجربتي الشخصية أصبحت لدي قناعة أن أغلبية الشعب الإيطالي لها قدرة هائلة على التأقلم مع كل التحولات السياسية كيفما كان نوعها بل لها حدس فطري لتقييم أي صراع حول السلطة. هذه القناعة تجرني دوما إلى تكرار جملة امازح بها اصدقائي الايطاليين بان مكيافيلي لا يمكنه أن يكون سوى ايطاليا. ففهمه العميق لقواعد اللعبة السياسية وكيفية إدارة الحكم عبر نصائحه ل”الامير” لا زالت هي اساس اي فعل براغماتي غايته تسيير الدولة، أي دولة، بحكمة ودراية.
كانت هذه قناعاتي إلى حدود الثامن من شتنبر 2021 لأكتشف أن مكيافيلي يمكنه أن يكون مغربيا كذلك. فالطريقة التي تمت بها الانتخابات التشريعية بالمغرب ونتائجها التي أسفرت عن تهميش حزب العدالة والتنمية تدل على ان لمكيافلي اتباع كثر في كواليس السلطة الحقيقية في البلاد ان لم يكن قد أصبح متجاوزا حيث التلميذ تفوق على الأستاذ.
الانتخابات الاخيرة أعطت صورة إيجابية عن المغرب خاصة في وسائل الإعلام الغربية. أغلب الأقلام في أوروبا والولايات المتحدة توقفت عند هزيمة حزب العدالة والتنمية كدليل على إمكانية هزم الإسلام السياسي عبر الاقتراع دونما اللجوء إلى العنف لتنحيته من الساحة.
هذه القراءة حتى وإن بدت جد سطحية حيث تكتفي بتكريس كل ما هو نمطي ساعة الحديث عن الفكر الإخواني، إلا أنها تصب في خانة رؤيا بعيدة المدى لدى الدولة العميقة التي استطاعت إدارة لحظة تاريخية صعبة (فبراير 2011) بكثير من الدهاء والخبرة ما يفسر، بجانب معطيات اخرى، قدرتها على ضمان استمرار البلد في نفس المسار عبر ترويض الكوادر السياسية والقيام بتنازلات شكلية الى أن تمر العاصفة.
حزب العدالة والتنمية، ومن اجل كسب رضا السلطة الحقيقية في البلاد، لم يتوان عن القيام بكل ما طلب منه وتصرف كتلميذ نجيب تجاوز في تنازلاته كل التوقعات الممكنة، آخرها التوقيع على اتفاقية ربط العلاقات باسرائيل والتي كانت الضربة القاضية بالنسبة لهذا الحزب الذي لم يستطع حتى إسماعيل هنية اسعافه في انتكاسته هذه. فزعيم حماس قدم الى الرباط خصيصا لدعم إخوانه في الإسلام السياسي بهدف الدفاع عن إستراتيجية يتم بناؤها منذ مدة انطلاقا من قطر والتي تتحرك عبر مناورات حان الوقت لفهم خفاياها بشكل افضل. ولكن هذا ليس موضوعنا هنا.
إذا عاد المرء للخطاب الذي ألقاه عبد الإله بنكيران في الدوحة في إطار ملتقى الجزيرة حول “الصراع والتغيير في العالم العربي” سيرى أن رئيس الحكومة السابق كان منسجما مع فهم خاص للتحولات التي يحتاجها المغرب مقرا بأنه لا يريد ممارسة صلاحياته الدستورية كي لا يدخل في صراع مع المؤسسة الملكية. فكل حديثه، والذي يمكن مشاهدته على يوتوب، عبارة عن تبرير مستمر لمواقف تتحرك في جوهرها بين الشعبوية المفرطة والتناقض الجلي بين القول والممارسة الذي تعودنا عليه من طرف اتباع الفكر الإخواني.
عبد الإله بنكيران في خطابه المذكور يكرر عدم تأييده لحركة 20 فبراير الذي كان أكبر مستفيد من رياحها. فمنذ وصول حزبه لرئاسة الحكومة وهو يقدم نفسه منقذا للدولة غافلا انه كان مجرد بيدق في عملية أكبر منه حيث تم تبديله حينما انتهى دوره. من هنا وجب التنويه بدور من يحبك الخيوط بهذا الاتقان ويناور بهذا الدهاء لكي “يتغير كل شيء من اجل ألا يتغير أي شيء”.
علينا الاعتراف، وبكل موضوعية، بأن الدولة المغربية خرجت أكثر قوة بعد هذه الانتخابات سواء محليا او عالميا عبر تقديم صورة لبلد مستقر يبدو استثناء في منطقة بكاملها حيث أبان أصحاب القرار عن براعة كبيرة في تجنيب المغرب ما عاينته دول أخرى من مآسي نتيجة سوء تدبير عاصفة الربيع العربي.
هذا الاستقرار مبني على أولويات ربما آخرها بناء ديمقراطية حقيقية وشفافة تسمح بتسيير الصراعات، التي تعرفها كل المجتمعات، بشكل سلمي. فنحن أمام نخبة سياسية تتقمص كل الأدوار الممكنة، المؤيدة منها والمعارضة، لكي تستمر في الدفاع عن مصالح طبقة معينة وهو ما تقوم به على أفضل وجه.
في لقاء مع إحدى المجلات يعلق جون واتربوري صاحب “أمير المؤمنين. الملكية والنخبة السياسية المغربية” على سؤال مرتبط بمدى إمكانية بناء ديمقراطية مع وجود المخزن في السلطة، فكان جوابه واضحا: “إن نظام المخزن أصبح أكثر تعقيدا مع مرور السنوات. أصبحت لديه تجربة كبيرة في التعامل مع الأمور السياسية الداخلية. إذن، هناك تغيير في المغرب، لكنه تغيير بطيء.” ويختم صاحب احد اهم الكتب لفهم دواخل الدولة العميقة بالمملكة الشريفة بسؤال بسيط: “هل هذا ما يريده المغاربة؟”
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Chi ha paura della pace?

La parola pace in Medio Oriente è stata talmente usata, manipolata e svuotata che oggi sembra quasi impronunciabile. Nonostante decenni di negoziati falliti, guerre senza tregua e cicli infiniti di violenza, resta l’unica via possibile. Ma chi la ostacola? Chi ha davvero paura della pace?
È questa la domanda al centro del nuovo libro di Zouhir Louassini, giornalista e scrittore, che scava nei nodi più dolorosi del conflitto israelo-palestinese. Il volume non indulge in retorica: parte da fatti concreti, come il massacro del 7 ottobre 2023, quando Hamas ha colpito brutalmente civili innocenti, tra i quali anche israeliani impegnati nel dialogo con i palestinesi. Un atto di violenza che ha avuto un unico obiettivo: distruggere ogni possibilità di convivenza.
Ma l’autore non si ferma a denunciare la barbarie di Hamas. Con la stessa lucidità mette in luce le responsabilità del governo Netanyahu e della destra israeliana, che da anni alimentano un clima di paura, colonizzazione e vendetta. Una leadership che ha usato la retorica della sicurezza per rafforzarsi politicamente, mentre la prospettiva di una pace reale si allontanava sempre di più.
Louassini mette in parallelo queste dinamiche con l’uso distorto delle parole: leader che parlano di “pace” mentre alimentano la guerra, promesse che si trasformano in imposizioni, un linguaggio politico che ricorda le distopie di Orwell, dove i significati vengono rovesciati.
Chi ha paura della pace? è un testo giornalistico ma anche una riflessione universale: mostra come la pace faccia paura a chi vive di conflitto, a chi trae forza e consenso dall’odio. E invita i lettori a chiedersi se la guerra sia davvero inevitabile, o se esista ancora spazio per immaginare scenari pragmatici di convivenza.
Non offre illusioni, ma pone la domanda più scomoda e necessaria: la pace è davvero un’utopia, o è la nostra unica possibilità di futuro?
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Partita a scacchi su un ring di pugilato: tra Israele e Iran il nuovo round di una spirale infinita

Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana
Nel ring infuocato del Medio Oriente, il conflitto tra Israele e Iran somiglia sempre più a un ibrido tra una partita di scacchi e un incontro di pugilato. Israele gioca con freddezza strategica: colpisce con precisione chirurgica obiettivi militari, basi e infrastrutture sensibili. Ogni mossa è calcolata, ogni attacco ha un valore operativo ma anche simbolico.
L’Iran, invece, sembra un pugile stordito. Reagisce con colpi confusi, spesso imprecisi, più guidato dall’impulso che da un piano. I droni lanciati in massa, i razzi sparati senza un bersaglio definito, le minacce ripetute ma inefficaci: tutto parla di frustrazione più che di forza.
Ma il vero squilibrio non è solo militare. È soprattutto geopolitico. Teheran si ritrova sempre più isolata. I suoi alleati storici sono in difficoltà: Hezbollah è logorato in Libano da attacchi continui e da una crisi economica devastante; gli Houthi in Yemen sono sotto tiro diretto degli Stati Uniti; Hamas, dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, è intrappolato nella guerra brutale di Gaza. La “mezzaluna sciita”, un tempo simbolo dell’influenza regionale iraniana, si è incrinata sotto il peso della risposta israeliana e dell’isolamento diplomatico.
Anche sul piano internazionale, l’Iran non trova più appoggi solidi. La Russia, pur legata da interessi militari e strategici, è assorbita dalla guerra in Ucraina e non ha alcuna intenzione di aprire un nuovo fronte. La Cina mantiene una distanza prudente: intrattiene rapporti economici con Teheran, ma non intende compromettere la sua immagine globale per una potenza sempre più ingombrante. Mosca e Pechino giocano su più tavoli, ma oggi scelgono la cautela. Nessuno è disposto a esporsi per un Iran sempre più isolato.
Israele, al contrario, agisce con la consapevolezza di avere il vento a favore. Gli Stati Uniti garantiscono copertura diplomatica, supporto tecnologico e una forte capacità di deterrenza. Le potenze occidentali, con sfumature diverse, condividono la percezione dell’Iran come minaccia alla stabilità regionale. Anche molti paesi arabi, pur evitando dichiarazioni ufficiali, vedono con favore il contenimento dell’espansionismo iraniano. Non si può parlare di legittimità internazionale – l’ONU non ha mai approvato formalmente le azioni israeliane – ma è chiaro che Tel Aviv opera dentro un contesto di ampio consenso politico, seppur non dichiarato.
Soprattutto, Israele agisce secondo una visione. La risposta all’attacco del 7 ottobre non è stata solo militare: è parte di una strategia a lungo termine per ridisegnare gli equilibri regionali. Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana. È una dottrina fondata su azione preventiva, superiorità tecnologica e iniziativa diplomatica.
Ma tutto questo solleva una domanda cruciale: quanto può durare questa spirale? Fino a quando la sicurezza israeliana potrà basarsi su guerre preventive, attacchi anticipati, operazioni giustificate da minacce reali o anche solo percepite? Perché anche la semplice sensazione di una minaccia, per Israele, si traduce quasi sempre in un’azione militare. È una strategia che ha prodotto risultati tattici, ma ha anche cronicizzato il conflitto. Ogni guerra genera la successiva.
Dal 1948, anno della nascita dello Stato di Israele, il Medio Oriente non ha mai conosciuto una pace duratura. Solo tregue provvisorie, pause tra una crisi e l’altra. Il paradosso è tutto qui: per difendersi, Israele è costretto ad attaccare. Ma ogni attacco riaccende il fuoco, rafforza il nemico, alimenta nuove tensioni.
Forse è il momento di affiancare alla forza una visione politica diversa. Perché la sicurezza, quella vera, nasce anche da una giustizia riconoscibile. E giustizia, in questa regione, significa accettare finalmente la creazione di uno Stato palestinese indipendente, con interlocutori legittimi e affidabili — non certo Hamas. Un processo difficile, certo, ma che potrebbe finalmente dare senso a un equilibrio fondato non solo sulla deterrenza, ma anche sulla legittimità e sul rispetto reciproco.
Finché la pace resterà un’idea astratta e non un progetto concreto, ovvero un “compromesso” ragionevole fra tutti gli Stati della regione, il Medio Oriente continuerà a giocare a scacchi con i pugni. E ogni vittoria, per quanto brillante, sarà solo il preludio a un nuovo round.
Pubblicato il 15/6/2025 su Rainews
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Tangeri, 1890. Intrigo, potere e resistenza: La strategia del pesce nano, il primo romanzo di Zouhir Louassini
Una storia avvincente ispirata a fatti reali che riporta alla luce una pagina dimenticata della storia marocchina, tra spionaggio, tensioni internazionali e dignità ferita.
È disponibile su Amazon La strategia del pesce nano, il primo romanzo dello scrittore e giornalista marocchino Zouhir Louassini. Ambientato nella Tangeri del 1890, il libro trascina il lettore in un’indagine che va oltre il mistero iniziale – l’assassinio di un cittadino italiano – per esplorare gli intricati rapporti di forza tra il Marocco e le grandi potenze coloniali.
Tangeri, all’epoca, era una città di frontiera e d’intrigo, abitata da consoli stranieri, spie, mercanti e diplomatici che operavano sotto la protezione di un sistema consolare arrogante e impunito. Louassini costruisce, con eleganza narrativa e rigore storico, un giallo politico che illumina i meccanismi opachi dell’epoca, le tensioni diplomatiche e le strategie sottili adottate da chi – pur privo di potere militare – cercava di sopravvivere e difendere la propria sovranità.
Il titolo del romanzo, La strategia del pesce nano, diventa emblema di questa resistenza silenziosa: quella di chi, pur piccolo e fragile, riesce a muoversi con astuzia nel mare agitato degli imperi coloniali.
Con uno stile limpido e cinematografico, il romanzo restituisce una Tangeri affascinante e contraddittoria, sospesa tra tradizione e modernità, tra dominio straniero e orgoglio marocchino. Louassini non si limita a raccontare un fatto di cronaca: invita il lettore a riflettere sul presente, sulle relazioni di forza internazionali, e sulla sottile linea tra giustizia e impunità.