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عمى الألوان

عمى الألوان

 

  أبريل 2022 – 02:41

في لقاء مع إذاعة “كادينا سير” مؤخرا، أكد وزير خارجية إسبانيا الأسبق، خوسي لويس مارغايو، رفضه موقف حكومة بلاده الجديد من قضية الصحراء. من بين ما ذكره مارغايو لتوضيح موقفه كون المغرب يصر على إذلال جاره الشمالي، وأعطى كمثال على ذلك كاريكاتيرا نشرته “هسبريس” قبل أشهر، وكذا مقالة في صحيفة “لوماتان”، يفهم منهما أن المغاربة استطاعوا إرضاخ “الثور الإيبيري” وتمريغ أنفه في التراب.

ما يثير الاهتمام أن الوزير الأسبق، الذي يشهد له بالحنكة، وكذا بإلمامه بالملف الصحراوي وخفاياه الحقيقية من صراع مزمن بين المغرب والجزائر، بدت تصريحاته سطحية بطريقة غير معهودة فيه، تجلت في عدم قدرته على التفريق بين مقالات رأي وكاريكاتير تعبر عن آراء أصحابها وبين مواقف الدولة.

كل المسؤولين المغاربة وبدون استثناء عمدوا إلى استعمال لغة جد دبلوماسية لوصف تحول تاريخي قد يساهم في إيجاد حل لنزاع طال أمده. والعكس ليس صحيحا، جزء من التحالف الحكومي الإسباني الممثل في حركة بوديموس شنف آذان المغاربة بكل المصطلحات الممكنة للإساءة لهم، عبر وصفهم بـ”المحتلين” لأرض غيرهم. كما أن أحزاب المعارضة، بما فيها الحزب الشعبي، الذي يعتبر مارغايو أحد مؤسسيه، لم تتوان عن اتخاذ مواقف معادية لمصالح جارها الجنوبي، وتحت قبة البرلمان، في جلسة عاصفة يوم 30 مارس 2022، حبذا لو تمت ترجمتها للغة العربية لكي يفهم كل المغاربة درجة الحقد والكراهية التي تعشش في عقول كثير من الإسبان.

على فكرة: أن نعي تجذر صورة نمطية رديئة تختزل المغرب والمغاربة في أذهان الإسبان، ليس لكي نرد بأسلوب مماثل، ولكن لكي نتحسس مكمن الخطأ في العلاقات بين البلدين؛ فعملية بناء علاقات مستقبلية جديدة يسودها الاحترام تمر بل شك عبر فهم أسباب هذا “الجفاء الحضاري” بين دولتين ما يجمعهما أهم بكثير مما يفرقهما.

الحديث عن المسؤولين السياسيين هنا لتوضيح أن اعتماد وزير الخارجية الأسبق على كاريكاتير ومقالة في صحيفتين مغربيتين ليخرج باستنتاجات عن العلاقات بين البلدين الجارين هو مجانب للصواب، لأننا لو قمنا بالأمر نفسه عبر استقراء ما تكتبه عادة الصحافة الإسبانية عن المغرب، وما كتبته خلال الأيام الأخيرة بعد قرار رئيس الحكومة سانتشيز حول أفضلية الحكم الذاتي لنزاع الصحراء، لكان على الرباط أن تحتج يوميا.

ماذا لو قام مارغايو بقراءة “إلباييس” أو “إلموندو” بعيون مغربية ولو للحظة؟ ماذا لو استمع إلى تعليقات الصحافيين والأكاديميين و”الخبراء” في دردشاتهم الصباحية على أمواج كادينا سير أوندا ثيرو أو لا كوبي؟… المغاربة الذين يتكلمون اللغة الإسبانية يعرفون عما أتحدث. ما لم يعد يطاق فعلا هو لغة التعالي والعجرفة التي يمارسها أغلب هؤلاء ساعة الحديث عن دولة ومواطنين يتواجدون على مسافة 14 كلم جنوبا. قليل من الاحترام للمغرب أصبح مرغوبا فيه، بل مطلوبا إذا كنا نريد تفعيل خريطة طريق جديدة في ترسيم علاقات البلدين.

بعض الإعلاميين والسياسيين الإسبان يبررون مواقفهم المعادية للمغرب بكونه نموذجا لدولة أوتوقراطية تنعدم فيها كل قواعد الديمقراطية. هذا الخطاب يتكرر باستمرار في افتتاحيات أهم الصحف، وتخطه أرقى الأقلام الإسبانية لتكريس معاداة نظام “ديكتاتوري”… وغيرها من التصنيفات، ثم تمر مباشرة للدفاع عن حق “الشعب الصحراوي” في تقرير مصيره؛ بل منها، كيومية “إلباييس” مثلا، التي تتحدث عن “الجمهورية العربية الصحراوية الديمقراطية”، كما لو كانت هناك دولة في العالم تحمل هذا الاسم. نموذج على انعدام أي حرفية في تناول هذا الموضوع.

لمغرب ليس ديمقراطية كما نريد لها أن تكون، لدينا من الفساد والظلم ما يكفي، لكنها قضايا تهم المغاربة، وهم فقط من يجب عليهم تغيير أوضاعهم. لا نحتاج إلى دروس من أي كان، خاصة ممن نعرف أنهم يلعبون على وتر الحريات من أجلااا غايات ومصالح أقل نبلا.

ما حصل خلال الأسابيع الأخيرة من تحول للموقف الإسباني، وردود الفعل السياسية والإعلامية التي تلته، أماط اللثام عن أمور كثيرة وجبت قراءتها بوعي وتمعن كبيرين؛ فمع كل ما يحصل في العالم نتيجة الغزو الروسي لأوكرانيا، أبانت النخبة الإسبانية في غالبيتها عن عدم فهمها للتحولات الجيوبوليتيكية الخطيرة التي حصلت دوليا وإقليميا خلال السنوات الأخيرة وتتشبث بقراءة إيديولوجية لقضية الصحراء، فيها بعض الحنين الاستعماري وكثير من عمى الألوان، إذ لم تر إلى حد الآن أن اللونين الأبيض والأخضر هما سر استمرار هذا النزاع سبعا وأربعين سنة. هذه النخبة لم تر إلى يومنا هذا أن الدولة إياها التي “ليست طرفا في النزاع” استدعت سفيرها من مدريد من أجل التشاور، نخبة تطبق حرفيا المثل الإسباني الشهير: “لا يوجد رجل أعمى أسوأ من الشخص الذي لا يريد أن يرى”.

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Chi ha paura della pace?

La parola pace in Medio Oriente è stata talmente usata, manipolata e svuotata che oggi sembra quasi impronunciabile. Nonostante decenni di negoziati falliti, guerre senza tregua e cicli infiniti di violenza, resta l’unica via possibile. Ma chi la ostacola? Chi ha davvero paura della pace?

È questa la domanda al centro del nuovo libro di Zouhir Louassini, giornalista e scrittore, che scava nei nodi più dolorosi del conflitto israelo-palestinese. Il volume non indulge in retorica: parte da fatti concreti, come il massacro del 7 ottobre 2023, quando Hamas ha colpito brutalmente civili innocenti, tra i quali anche israeliani impegnati nel dialogo con i palestinesi. Un atto di violenza che ha avuto un unico obiettivo: distruggere ogni possibilità di convivenza.

Ma l’autore non si ferma a denunciare la barbarie di Hamas. Con la stessa lucidità mette in luce le responsabilità del governo Netanyahu e della destra israeliana, che da anni alimentano un clima di paura, colonizzazione e vendetta. Una leadership che ha usato la retorica della sicurezza per rafforzarsi politicamente, mentre la prospettiva di una pace reale si allontanava sempre di più.

Louassini mette in parallelo queste dinamiche con l’uso distorto delle parole: leader che parlano di “pace” mentre alimentano la guerra, promesse che si trasformano in imposizioni, un linguaggio politico che ricorda le distopie di Orwell, dove i significati vengono rovesciati.

Chi ha paura della pace? è un testo giornalistico ma anche una riflessione universale: mostra come la pace faccia paura a chi vive di conflitto, a chi trae forza e consenso dall’odio. E invita i lettori a chiedersi se la guerra sia davvero inevitabile, o se esista ancora spazio per immaginare scenari pragmatici di convivenza.

Non offre illusioni, ma pone la domanda più scomoda e necessaria: la pace è davvero un’utopia, o è la nostra unica possibilità di futuro?

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Partita a scacchi su un ring di pugilato: tra Israele e Iran il nuovo round di una spirale infinita

Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana

 

Nel ring infuocato del Medio Oriente, il conflitto tra Israele e Iran somiglia sempre più a un ibrido tra una partita di scacchi e un incontro di pugilato. Israele gioca con freddezza strategica: colpisce con precisione chirurgica obiettivi militari, basi e infrastrutture sensibili. Ogni mossa è calcolata, ogni attacco ha un valore operativo ma anche simbolico.

L’Iran, invece, sembra un pugile stordito. Reagisce con colpi confusi, spesso imprecisi, più guidato dall’impulso che da un piano. I droni lanciati in massa, i razzi sparati senza un bersaglio definito, le minacce ripetute ma inefficaci: tutto parla di frustrazione più che di forza.

Ma il vero squilibrio non è solo militare. È soprattutto geopolitico. Teheran si ritrova sempre più isolata. I suoi alleati storici sono in difficoltà: Hezbollah è logorato in Libano da attacchi continui e da una crisi economica devastante; gli Houthi in Yemen sono sotto tiro diretto degli Stati Uniti; Hamas, dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, è intrappolato nella guerra brutale di Gaza. La “mezzaluna sciita”, un tempo simbolo dell’influenza regionale iraniana, si è incrinata sotto il peso della risposta israeliana e dell’isolamento diplomatico.

Anche sul piano internazionale, l’Iran non trova più appoggi solidi. La Russia, pur legata da interessi militari e strategici, è assorbita dalla guerra in Ucraina e non ha alcuna intenzione di aprire un nuovo fronte. La Cina mantiene una distanza prudente: intrattiene rapporti economici con Teheran, ma non intende compromettere la sua immagine globale per una potenza sempre più ingombrante. Mosca e Pechino giocano su più tavoli, ma oggi scelgono la cautela. Nessuno è disposto a esporsi per un Iran sempre più isolato.

Israele, al contrario, agisce con la consapevolezza di avere il vento a favore. Gli Stati Uniti garantiscono copertura diplomatica, supporto tecnologico e una forte capacità di deterrenza. Le potenze occidentali, con sfumature diverse, condividono la percezione dell’Iran come minaccia alla stabilità regionale. Anche molti paesi arabi, pur evitando dichiarazioni ufficiali, vedono con favore il contenimento dell’espansionismo iraniano. Non si può parlare di legittimità internazionale – l’ONU non ha mai approvato formalmente le azioni israeliane – ma è chiaro che Tel Aviv opera dentro un contesto di ampio consenso politico, seppur non dichiarato.

Soprattutto, Israele agisce secondo una visione. La risposta all’attacco del 7 ottobre non è stata solo militare: è parte di una strategia a lungo termine per ridisegnare gli equilibri regionali. Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana. È una dottrina fondata su azione preventiva, superiorità tecnologica e iniziativa diplomatica.

Ma tutto questo solleva una domanda cruciale: quanto può durare questa spirale? Fino a quando la sicurezza israeliana potrà basarsi su guerre preventive, attacchi anticipati, operazioni giustificate da minacce reali o anche solo percepite? Perché anche la semplice sensazione di una minaccia, per Israele, si traduce quasi sempre in un’azione militare. È una strategia che ha prodotto risultati tattici, ma ha anche cronicizzato il conflitto. Ogni guerra genera la successiva.

Dal 1948, anno della nascita dello Stato di Israele, il Medio Oriente non ha mai conosciuto una pace duratura. Solo tregue provvisorie, pause tra una crisi e l’altra. Il paradosso è tutto qui: per difendersi, Israele è costretto ad attaccare. Ma ogni attacco riaccende il fuoco, rafforza il nemico, alimenta nuove tensioni.

Forse è il momento di affiancare alla forza una visione politica diversa. Perché la sicurezza, quella vera, nasce anche da una giustizia riconoscibile. E giustizia, in questa regione, significa accettare finalmente la creazione di uno Stato palestinese indipendente, con interlocutori legittimi e affidabili — non certo Hamas. Un processo difficile, certo, ma che potrebbe finalmente dare senso a un equilibrio fondato non solo sulla deterrenza, ma anche sulla legittimità e sul rispetto reciproco.

Finché la pace resterà un’idea astratta e non un progetto concreto, ovvero un “compromesso” ragionevole fra tutti gli Stati della regione, il Medio Oriente continuerà a giocare a scacchi con i pugni. E ogni vittoria, per quanto brillante, sarà solo il preludio a un nuovo round.

Pubblicato il 15/6/2025 su Rainews

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Tangeri, 1890. Intrigo, potere e resistenza: La strategia del pesce nano, il primo romanzo di Zouhir Louassini

Una storia avvincente ispirata a fatti reali che riporta alla luce una pagina dimenticata della storia marocchina, tra spionaggio, tensioni internazionali e dignità ferita.

È disponibile su Amazon La strategia del pesce nano, il primo romanzo dello scrittore e giornalista marocchino Zouhir Louassini. Ambientato nella Tangeri del 1890, il libro trascina il lettore in un’indagine che va oltre il mistero iniziale – l’assassinio di un cittadino italiano – per esplorare gli intricati rapporti di forza tra il Marocco e le grandi potenze coloniali.

Tangeri, all’epoca, era una città di frontiera e d’intrigo, abitata da consoli stranieri, spie, mercanti e diplomatici che operavano sotto la protezione di un sistema consolare arrogante e impunito. Louassini costruisce, con eleganza narrativa e rigore storico, un giallo politico che illumina i meccanismi opachi dell’epoca, le tensioni diplomatiche e le strategie sottili adottate da chi – pur privo di potere militare – cercava di sopravvivere e difendere la propria sovranità.

Il titolo del romanzo, La strategia del pesce nano, diventa emblema di questa resistenza silenziosa: quella di chi, pur piccolo e fragile, riesce a muoversi con astuzia nel mare agitato degli imperi coloniali.

Con uno stile limpido e cinematografico, il romanzo restituisce una Tangeri affascinante e contraddittoria, sospesa tra tradizione e modernità, tra dominio straniero e orgoglio marocchino. Louassini non si limita a raccontare un fatto di cronaca: invita il lettore a riflettere sul presente, sulle relazioni di forza internazionali, e sulla sottile linea tra giustizia e impunità.

 

 

 

 

 

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Marocco, Islam