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حلال عليهم حرام علينا!!

هسبريس
زاوية حادةا!!
زهير الوسيني
الأحد 22 ماي 2022 – 00:02
واضح جدا أن الاتحاد الأوروبي لم يفهم إلى حد الآن ما يقوله المغرب حينما يؤكد أن الحل الوحيد والممكن في الصحراء يمر عبر حوار مباشر مع النظام الجزائري، المسؤول عن استمرار نزاع مفتعل عمر أكثر من أربعة عقود؛ فبكل موضوعية وبحد أدنى من الحياد يمكن للمرء أن يستوعب أن البوليساريو مجرد أداة تستعمل لاستنزاف المغرب وإدخاله في دوامة مستمرة خدمة لمصالح جيوسياسية ضيقة جدا.

وبالطبع، يحاول الاتحاد الأوروبي البقاء على المسافة نفسها من المغرب والجزائر، اعتقادا منه أنه القرار الأنسب للدفاع عن مصالح الدول المنتمية إليه، وهنا مربط الفرس. في قضية الصحراء، أي موقف لا يأخذ بعين الاعتبار أن الجارة الشرقية هي الطرف الحقيقي في هذا الصراع فإنه يخدم أجندة النظام الجزائري الذي اتضح بالملموس أن هدفه الوحيد والأوحد هو أن يستمر هذا النزاع إلى ما لا نهاية.

أقول هذا الكلام بعد الانتهاء من قراءة تقرير تم نشره في الخامس من مايو 2022 حول نزاع الصحراء، من إعداد المجلس الأوروبي للعلاقات الخارجية، الذي يتوجه لصانع القرار بالاتحاد بغاية تقديم قراءة “مستقلة” للقضايا التي تهم أمن أوروبا.

التقرير، الذي حرره أنتوني دووركين Anthony Dworkin، الذي يقدم نفسه كباحث في المجلس المذكور، يعمل في مجالات مرتبطة بحقوق الإنسان والإرهاب وشمال إفريقيا والنظام الدولي، خرج بمجموعة من الخلاصات والتوصيات أهمها:

-أي تدهور إضافي في العلاقات بين الجزائر والمغرب يمكن أن تكون له عواقب وخيمة على أوروبا؛ فمن المرجح أن يؤدي الصراع بين البلدين إلى زيادة حادة في الهجرة نحو الاتحاد الأوروبي.

-هناك تغييرات قلبت الوضع السابق. وأفضل ما يمكن لأوروبا عمله كي تستمر في علاقاتها المتوازنة بين البلدين هو عدم تشجيع المغرب على مواقفه الصارمة والجزائر على موقفها الدفاعي.

-إن قيام أوروبا بتقديم تنازلات أمام عملية لي الذراع التي يمارسها المغرب سيشجعه على الاستمرار في لعب ورقة الهجرة “لابتزاز” الاتحاد الأوروبي.

-قد يكون المغرب في وضع أضعف مما يوحي به موقفه الحازم. الحرب في أوكرانيا سيكون لها تأثير فعلي على اقتصاد البلد؛ فهو مستورد كبير لكل من الحبوب والنفط والغاز التي ارتفعت أسعارها بشكل صاروخي بسبب الغزو الروسي لأوكرانيا.

-إذا أيدت المحكمة الأوروبية الحكم الأخير بشأن اتفاقيات التجارة والصيد البحري، الذي ينص على عدم قبول الصحراء ضمنها، فإن المغرب لن يستطيع التضحية باتفاق الشراكة مع الاتحاد الأوروبي، الذي يعني ما يقارب 64 في المائة من الصادرات المغربية. قد يضطر المغرب في النهاية إلى التنازل عن إصراره على أن أي صفقة تجارية يجب أن تشمل “الصحراء الغربية”؛ وهذا الأمر قد يكون فرصة لإعادة ضبط علاقات أوروبا معه بعدم تشجيعه على مضاعفة مطالبه بـ”الخروج من المنطقة الضبابية في ما يتعلق بالصحراء”.

ما كتبه الأستاذ دووركين في مقاله هذا يؤكد أن الرباط ذهبت بعيدا في الدفاع عن مصالحها، وهو ما لا يغفره لها بعض الأوروبيين الذين يريدون دول المنطقة مجرد بقرة حلوب يستفيدون منها. نزاع الصحراء له مخرج واحد، يمر عبر الجزائر. والحياد هنا ليس في صالح المنطقة ولا شعوبها؛ وهذه الحقيقة لا يمكن أن يطمسها تقرير غايته إقناع صاحب القرار الأوروبي بأن المصلحة تقتضي الوقوف على المسافة نفسها من دولة تدافع عن وحدتها الترابية وأخرى تسعى فقط إلى عرقلة هذا المسعى، اعتقادا منها أن قوة المغرب تعني إضعافا لها.

بعض “الخبراء” في أوروبا، ودووكين من ضمنهم، لم يفهموا إلى حد الآن أن المصالح الأوروبية مرتبطة بتكتل مغاربي قوي، يلعب فيه المغرب والجزائر دور القاطرة عبر توزيع للأدوار بشكل دقيق ومتفاوض عليه، كما حصل مثلا بين إيطاليا والنمسا ومنطقة ترينتو التو اجيدي، حيث أفرزت عشرون عاما من المفاوضات حلا اتفق عليه الجميع، واستفادت منه أوروبا أجمعها. لكن الظاهر أن ما هو حلال عليهم حرام علينا، باعتبارنا دولا متخلفة لا حق لها في التقدم.

القرار الشجاع الوحيد الذي على أوروبا اتخاذه للدفاع عن مصالحها هو إرغام النظام الجزائري على الجلوس إلى طاولات مفاوضات جادة لإيجاد مخرج لهذا النزاع، الذي تدفع ثمنه كل شعوب المنطقة، بما فيها دول جنوب أوروبا.

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Chi ha paura della pace?

La parola pace in Medio Oriente è stata talmente usata, manipolata e svuotata che oggi sembra quasi impronunciabile. Nonostante decenni di negoziati falliti, guerre senza tregua e cicli infiniti di violenza, resta l’unica via possibile. Ma chi la ostacola? Chi ha davvero paura della pace?

È questa la domanda al centro del nuovo libro di Zouhir Louassini, giornalista e scrittore, che scava nei nodi più dolorosi del conflitto israelo-palestinese. Il volume non indulge in retorica: parte da fatti concreti, come il massacro del 7 ottobre 2023, quando Hamas ha colpito brutalmente civili innocenti, tra i quali anche israeliani impegnati nel dialogo con i palestinesi. Un atto di violenza che ha avuto un unico obiettivo: distruggere ogni possibilità di convivenza.

Ma l’autore non si ferma a denunciare la barbarie di Hamas. Con la stessa lucidità mette in luce le responsabilità del governo Netanyahu e della destra israeliana, che da anni alimentano un clima di paura, colonizzazione e vendetta. Una leadership che ha usato la retorica della sicurezza per rafforzarsi politicamente, mentre la prospettiva di una pace reale si allontanava sempre di più.

Louassini mette in parallelo queste dinamiche con l’uso distorto delle parole: leader che parlano di “pace” mentre alimentano la guerra, promesse che si trasformano in imposizioni, un linguaggio politico che ricorda le distopie di Orwell, dove i significati vengono rovesciati.

Chi ha paura della pace? è un testo giornalistico ma anche una riflessione universale: mostra come la pace faccia paura a chi vive di conflitto, a chi trae forza e consenso dall’odio. E invita i lettori a chiedersi se la guerra sia davvero inevitabile, o se esista ancora spazio per immaginare scenari pragmatici di convivenza.

Non offre illusioni, ma pone la domanda più scomoda e necessaria: la pace è davvero un’utopia, o è la nostra unica possibilità di futuro?

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Partita a scacchi su un ring di pugilato: tra Israele e Iran il nuovo round di una spirale infinita

Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana

 

Nel ring infuocato del Medio Oriente, il conflitto tra Israele e Iran somiglia sempre più a un ibrido tra una partita di scacchi e un incontro di pugilato. Israele gioca con freddezza strategica: colpisce con precisione chirurgica obiettivi militari, basi e infrastrutture sensibili. Ogni mossa è calcolata, ogni attacco ha un valore operativo ma anche simbolico.

L’Iran, invece, sembra un pugile stordito. Reagisce con colpi confusi, spesso imprecisi, più guidato dall’impulso che da un piano. I droni lanciati in massa, i razzi sparati senza un bersaglio definito, le minacce ripetute ma inefficaci: tutto parla di frustrazione più che di forza.

Ma il vero squilibrio non è solo militare. È soprattutto geopolitico. Teheran si ritrova sempre più isolata. I suoi alleati storici sono in difficoltà: Hezbollah è logorato in Libano da attacchi continui e da una crisi economica devastante; gli Houthi in Yemen sono sotto tiro diretto degli Stati Uniti; Hamas, dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, è intrappolato nella guerra brutale di Gaza. La “mezzaluna sciita”, un tempo simbolo dell’influenza regionale iraniana, si è incrinata sotto il peso della risposta israeliana e dell’isolamento diplomatico.

Anche sul piano internazionale, l’Iran non trova più appoggi solidi. La Russia, pur legata da interessi militari e strategici, è assorbita dalla guerra in Ucraina e non ha alcuna intenzione di aprire un nuovo fronte. La Cina mantiene una distanza prudente: intrattiene rapporti economici con Teheran, ma non intende compromettere la sua immagine globale per una potenza sempre più ingombrante. Mosca e Pechino giocano su più tavoli, ma oggi scelgono la cautela. Nessuno è disposto a esporsi per un Iran sempre più isolato.

Israele, al contrario, agisce con la consapevolezza di avere il vento a favore. Gli Stati Uniti garantiscono copertura diplomatica, supporto tecnologico e una forte capacità di deterrenza. Le potenze occidentali, con sfumature diverse, condividono la percezione dell’Iran come minaccia alla stabilità regionale. Anche molti paesi arabi, pur evitando dichiarazioni ufficiali, vedono con favore il contenimento dell’espansionismo iraniano. Non si può parlare di legittimità internazionale – l’ONU non ha mai approvato formalmente le azioni israeliane – ma è chiaro che Tel Aviv opera dentro un contesto di ampio consenso politico, seppur non dichiarato.

Soprattutto, Israele agisce secondo una visione. La risposta all’attacco del 7 ottobre non è stata solo militare: è parte di una strategia a lungo termine per ridisegnare gli equilibri regionali. Gaza, Hezbollah, Siria, Iran: ogni fronte è inserito in una logica coerente, volta a smantellare le reti di minaccia alla sicurezza israeliana. È una dottrina fondata su azione preventiva, superiorità tecnologica e iniziativa diplomatica.

Ma tutto questo solleva una domanda cruciale: quanto può durare questa spirale? Fino a quando la sicurezza israeliana potrà basarsi su guerre preventive, attacchi anticipati, operazioni giustificate da minacce reali o anche solo percepite? Perché anche la semplice sensazione di una minaccia, per Israele, si traduce quasi sempre in un’azione militare. È una strategia che ha prodotto risultati tattici, ma ha anche cronicizzato il conflitto. Ogni guerra genera la successiva.

Dal 1948, anno della nascita dello Stato di Israele, il Medio Oriente non ha mai conosciuto una pace duratura. Solo tregue provvisorie, pause tra una crisi e l’altra. Il paradosso è tutto qui: per difendersi, Israele è costretto ad attaccare. Ma ogni attacco riaccende il fuoco, rafforza il nemico, alimenta nuove tensioni.

Forse è il momento di affiancare alla forza una visione politica diversa. Perché la sicurezza, quella vera, nasce anche da una giustizia riconoscibile. E giustizia, in questa regione, significa accettare finalmente la creazione di uno Stato palestinese indipendente, con interlocutori legittimi e affidabili — non certo Hamas. Un processo difficile, certo, ma che potrebbe finalmente dare senso a un equilibrio fondato non solo sulla deterrenza, ma anche sulla legittimità e sul rispetto reciproco.

Finché la pace resterà un’idea astratta e non un progetto concreto, ovvero un “compromesso” ragionevole fra tutti gli Stati della regione, il Medio Oriente continuerà a giocare a scacchi con i pugni. E ogni vittoria, per quanto brillante, sarà solo il preludio a un nuovo round.

Pubblicato il 15/6/2025 su Rainews

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Tangeri, 1890. Intrigo, potere e resistenza: La strategia del pesce nano, il primo romanzo di Zouhir Louassini

Una storia avvincente ispirata a fatti reali che riporta alla luce una pagina dimenticata della storia marocchina, tra spionaggio, tensioni internazionali e dignità ferita.

È disponibile su Amazon La strategia del pesce nano, il primo romanzo dello scrittore e giornalista marocchino Zouhir Louassini. Ambientato nella Tangeri del 1890, il libro trascina il lettore in un’indagine che va oltre il mistero iniziale – l’assassinio di un cittadino italiano – per esplorare gli intricati rapporti di forza tra il Marocco e le grandi potenze coloniali.

Tangeri, all’epoca, era una città di frontiera e d’intrigo, abitata da consoli stranieri, spie, mercanti e diplomatici che operavano sotto la protezione di un sistema consolare arrogante e impunito. Louassini costruisce, con eleganza narrativa e rigore storico, un giallo politico che illumina i meccanismi opachi dell’epoca, le tensioni diplomatiche e le strategie sottili adottate da chi – pur privo di potere militare – cercava di sopravvivere e difendere la propria sovranità.

Il titolo del romanzo, La strategia del pesce nano, diventa emblema di questa resistenza silenziosa: quella di chi, pur piccolo e fragile, riesce a muoversi con astuzia nel mare agitato degli imperi coloniali.

Con uno stile limpido e cinematografico, il romanzo restituisce una Tangeri affascinante e contraddittoria, sospesa tra tradizione e modernità, tra dominio straniero e orgoglio marocchino. Louassini non si limita a raccontare un fatto di cronaca: invita il lettore a riflettere sul presente, sulle relazioni di forza internazionali, e sulla sottile linea tra giustizia e impunità.

 

 

 

 

 

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Marocco, Islam