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Cristo si è fermato a Managua.

Attacco alla chiesa in Nicaragua.

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L’uccisione di Haniyeh, la sfida a distanza: la guerra tra Iran e Israele è ancora evitabile?

di Zouhir Louassini (Rainews)

La morte di Haniyeh sottolinea che l’Iran non è la potenza regionale che cerca di rappresentare alla propria opinione pubblica e a quella dell’Islam politico nel mondo arabo-islamico. Questa è una ferita che il regime degli ayatollah non sa come sanare.

La rivalità tra Iran e Israele è parte integrante del clima teso in Medio Oriente sin dall’arrivo di Khomeini e dall’instaurazione del regime islamista a Teheran, dove l’odio verso Israele è divenuto uno strumento cruciale per la gestione dello Stato.

Lo scorso aprile, in risposta all’assassinio di un generale iraniano di alto rango a Damasco da parte di Israele, il governo iraniano ha lanciato per la prima volta un attacco diretto contro Israele, utilizzando oltre 300 missili e droni. Quasi tutti sono stati distrutti dalle difese aeree israeliane, supportate dalle forze americane, britanniche e giordane.

Gli iraniani hanno chiaramente espresso le loro intenzioni, dando a Israele e ai suoi alleati il tempo di prepararsi, e hanno rapidamente pubblicato una dichiarazione presso la sede delle Nazioni Unite a New York, indicando che le loro rappresaglie erano terminate. Era evidente che la risposta iraniana fosse più simbolica e destinata al consumo interno, piuttosto che una reale minaccia per la sicurezza di Israele.

Tuttavia, questo evento deve essere interpretato anche come una mossa significativa dell’Iran nello scacchiere mediorientale. Si tratta di segnali che vanno compresi per evitare ciò che sta iniziando a sembrare una condanna: il Medio Oriente potrebbe essere sull’orlo di una guerra totale, con pericoli sia a livello regionale che globale.

Il messaggio più rilevante è senza dubbio la possibilità di un conflitto diretto contro Israele. Sebbene oggi questa minaccia non abbia ancora effetti concreti, non si può escludere che, con il passare del tempo, la potenza militare iraniana possa diventare più efficace. Il tempo e la sua evoluzione sono elementi centrali in una visione del mondo che l’Islam politico sa abilmente sfruttare. Tutto si inscrive in un disegno divino che si realizza attraverso grande pazienza e profonda fede.

L’Iran, che oggi incarna un’ideologia nata in Egitto negli anni ’20, si propone come un modello di successo, difensore del mondo islamico e dei suoi luoghi sacri, come la moschea al-Aqsa a Gerusalemme. In questa stessa prospettiva, lo Stato Islamico mantiene la pressione esterna presentandosi come l’unico baluardo di resistenza contro la penetrazione americana nella regione. Dopo più di quattro decenni dalla fondazione della Repubblica Islamica in Iran, Teheran è riuscita a estendere la sua influenza in tutta la regione, grazie anche a una serie incalcolabile di errori commessi dalle amministrazioni statunitensi.

Questi errori hanno anche una data precisa: l’11 settembre. Di fronte al deterioramento delle relazioni tra l’Arabia Saudita e l’Occidente e alla diffidenza americana nei confronti dell’Islam wahhabita, da cui proviene Osama Bin Laden, l’Iran si è presentato come un baluardo di stabilità. Le sue immense riserve di petrolio e gas naturale lo rendevano un interlocutore promettente per le economie dei paesi industrializzati. E questa è stata un’arma abilmente sfruttata dalla diplomazia iraniana, con risultati evidenti oggi, osservabili attentamente su qualsiasi mappa geopolitica.

La via tra Iran e Israele è diventata diretta dal momento che lo Stato iracheno è ormai quasi inesistente e l’unica forza organizzata rimasta sono le milizie sciite filo-iraniane. Lo stesso si può dire della Siria di Assad, del Libano dominato da Hezbollah e dello Yemen degli Houthi: tutte milizie sciite che difendono gli interessi iraniani. Da aggiungere a questo quadro c’è Hamas, che, pur essendo un movimento sunnita, è ormai da anni parte integrante della strategia iraniana nella regione.

Gestire il tempo sta diventando un’arma cruciale per il regime iraniano. Attendere il momento opportuno per agire è una strategia efficace per un regime che ha dimostrato una notevole abilità nel manovrare e nel comprendere quando e come reagire. L’Iran è consapevole che una guerra diretta con Israele, in questo momento, non sarebbe vantaggiosa per i suoi interessi. In questo contesto, sostenere l’attuazione del cessate il fuoco proposto da Biden tra Israele e Hamas può rappresentare un modo per “salvare la faccia.”

Un altro elemento da considerare è l’imminente elezione negli Stati Uniti, che potrebbe cambiare le dinamiche in gioco. L’Iran sa di non avere alcun interesse in una vittoria di Donald Trump, il candidato preferito di Netanyahu, e quindi non desidera ostacolare la campagna democratica di Kamala Harris, la cui vittoria sarebbe vista come il male minore dalle autorità iraniane.

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وهم القوة

 هسبريس .زهير الوسيني

 

وهم القوة
كاريكاتير: عماد السنوني

 

الإسلام السياسي، في زيه المغربي وهو الذي يهمني هنا أساسًا، يمتلك القدرة الكبيرة على تبرير كل شيء. الإيمان بإيديولوجيا مليئة بالقناعات بدلًا من تبني رؤية استراتيجية بعيدة المدى، أصبح يشكل خطرًا حقيقيًا يهدد مستقبل بلادنا إذا لم يتحل زعماء هذا التيار بكثير من التروي والحكمة.

الغرض من هذه التوطئة هو تسليط الضوء على الهجوم الذي نفذته إيران ضد إسرائيل صباح يوم الأحد الماضي، والذي لقي ردود فعل واسعة بين العديد من المتابعين في المغرب. فقد اعتبره الكثيرون، خاصة من أتباع التيار الإسلامي، ردًا بطوليًا على التصرفات الإسرائيلية، سواء تلك التي قامت بها حكومة الاحتلال في غزة خلال الستة أشهر الماضية أو الهجوم الأخير الذي نفذته على القنصلية الإيرانية في دمشق.

الردود الانفعالية التي ظهرت في العديد من التعليقات التي أعقبت الهجوم الإيراني تؤكد مرة أخرى أن الشارع العربي، ومن ضمنه جزء كبير من الشارع المغربي، مازال يسيطر عليه تفكير يفتقر إلى المنطق الذي يمكّنه من فهم العالم المعقد الذي نعيش فيه. تكرار النكسات ربما أفقد العقل العربي القدرة على الاستيعاب، وبالتالي القدرة على بناء رؤية مستقبلية تساعده على تحقيق تحول نوعي ينأى به عن الفوضى التي تهدد وجوده ككيان اجتماعي، بعد أن تبين، ومنذ زمن طويل، غيابه ككيان سياسي فعّال.

لكي نفهم جيدًا ما حصل ليل السبت وصبيحة الأحد الماضيين، يجب العودة للرد الذي نفذته إيران في حدث مماثل قبل أربع سنوات، عندما قتلت الولايات المتحدة قائد فيلق القدس، قاسم سليماني. كانت إيران بحاجة إلى رد فعل رمزي للحفاظ على ماء وجهها، فطلبت الإذن للقيام بذلك. سمحت الولايات المتحدة لإيران بمهاجمة قاعدتها الجوية عين الأسد، مع التأكيد على أن لا أحد سيصاب بأذى. تم إطلاق خمسة عشر صاروخًا على القاعدة، مما تسبب في أضرار طفيفة وبدون خسائر في الأرواح، الأمر الذي علق عليه أحد الظرفاء بشكل ساخر بأنه يجب ترشيح إيران لجائزة نوبل للسلام لنجاحها في إطلاق 15 صاروخًا دون قتل أحد.

الهجوم الأخير على إسرائيل يدخل في هذا الباب ويجب قراءته داخل هذا السياق. رمزية الرد أهم بالنسبة لطهران من نتائجه. فالمسألة هي موجهة أساسًا لرأي عام داخلي في حاجة ماسة لدغدغة عواطفه الجامحة حيث يختلط الكبرياء القومي بنزعة شوفينية تساهم في تكريس سيطرة من بيدهم السلطة. أسلوب معروف تعتمده كل الأنظمة الضعيفة التي تحتاج إلى إبراز عضلاتها الهشة.

كما أن هذا الرد يفيد في تكريس وهم القوة في أذهان المنتمين إلى التيار الإسلامي، وإيران ضمنهم، الذين يحتاجون لأي عملية عسكرية مهما كانت ضحالتها للحديث عن انتصارات يرونها هم لوحدهم فقط.

الأدهى هو أن هذا الهجوم لم يستفد منه فعليًا سوى شخص واحد: نتنياهو، رئيس الحكومة الإسرائيلية المتطرفة. الرجل كان قد وصل لعزلة عالمية تامة نتيجة سياسته الهوجاء في غزة، فإذا بهجمة الألعاب النارية الإيرانية تبعث فيه روحًا جديدة ليصبح مرة أخرى محاورًا للدول العظمى وضامنًا لأمن واستقرار مواطنيه.

المشكلة مع الإخوة المقتنعين بالتيار الإسلامي في المغرب أساسًا، ومع احترامي لآرائهم بطبيعة الحال، أنهم يجدون دائمًا في مقاربتهم السياسية تبريرًا لإقناع أنفسهم بصحة نهجهم عوضًا عن تمحيصه أو البحث عن طريق آخر كفيل بإنتاج تصور مختلف لمجتمع مستعد لمواجهة التحديات الحالية والمستقبلية والتي أصبحت معقدة جدًا.

الإخوة المشارقة لم يفهموا قواعد اللعبة والنتيجة أمامكم تتجلى في دول شبحية تنعدم فيها الدولة وتسيطر عليها مليشيات في العراق وسوريا ولبنان واليمن.

نحن في المغرب، كي لا نسقط في الفخ نفسه، لنترك الأبواب مفتوحة لحوار بناء بين كل فئات المجتمع بدون تخوين للناس بسبب آرائهم، لنشرح حيثيات الواقع الجيوبوليتيكي الجديد بعد فهمه عوضًا عن تجييش المواطنين بقضايا مهما كانت عدالتها فلا يجب استعمالها للمس بالأمن الداخلي للبلاد. لنفهم العالم جيدًا قبل أن ندعو لتغييره. وشرح الواضحات من المفضحات.

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L’Iran, Israele e il puzzle di un Medio Oriente in fiamme: ma la vera minaccia è l’Islam politico

L’attacco di Teheran a Israele è stato più una risposta simbolica che effettiva. Ma per capire il nuovo scenario che si sta delineando bisogna andare oltre gli schemi consueti

Di Zouhir Louassini (Rainews)

Il giornalista libanese Jihad al-Khazen, alla vigilia degli attentati dell’11 settembre 2001, affermava: “L’Occidente non può vincere la sua battaglia contro il terrorismo se ancora non sa distinguere tra un imam e un prete.” Nel suo articolo pubblicato su Al-Hayat, al-Khazen evidenziava come l’approccio superficiale verso il mondo dell’Islam, sia da parte della stampa che dei politici occidentali, generi confusione, impedendo di affrontare i veri problemi che hanno portato al caos in vasti settori del mondo arabo e islamico.

L’attacco iraniano contro Israele, avvenuto tra sabato e domenica scorsa, ha scatenato un’altra ondata di analisi volta a interpretare la strategia di Teheran. Queste analisi vedono la realtà sciita come antagonista del mondo sunnita, spesso percepito come un alleato naturale di Israele. Gli Accordi di Abramo sono interpretati, in questo contesto, come prova di un’intesa segreta che ha evitato danni maggiori a Tel Aviv.

Considerare la rivoluzione iraniana una mera espressione dello sciismo è limitativo. È essenziale ampliare l’orizzonte per comprendere questa rivoluzione nel suo vero contesto, quello dell’islam politico. Questa prospettiva ci permette di capire il sostegno deciso e continuo che la Repubblica Islamica ha offerto per anni a Hamas, di orientamento sunnita, e ad altri movimenti emergenti dalla Fratellanza Musulmana, fondata in Egitto nel 1928. La forza di questi movimenti si è manifestata durante la primavera araba, con l’ascesa al potere di Mohammad Morsi in Egitto e di al-Nahda in Tunisia. Solo comprendendo il significato dell’islam politico possiamo interpretare l’alleanza tra il Qatar sunnita, principale finanziatore dei movimenti islamisti, la Turchia sunnita con il modello di successo rappresentato da Erdogan, e l’Iran sciita, percepito nell’immaginario arabo e islamico come un baluardo contro l'”imperialismo americano”.

Le affinità intellettuali tra l’Iran (sciita) e la fratellanza (sunnita) sono evidenti: l’ayatollah Ali Khamenei ha tradotto in persiano le opere di Sayid Qutb, un intellettuale della Fratellanza Musulmana giustiziato nelle prigioni egiziane nel 1966.

Nel 1953, il sunnita Qutb incontrava a Gerusalemme il sciita Navvâb Safavi, predicatore e fondatore dei Fedâ’iyân-e Islam, responsabili dell’uccisione di liberali e tecnocrati iraniani tra gli anni 1940 e 1960. Come sottolineava il tunisino Rached Ghannouchi, questo movimento è visto come l’erede dei Fratelli Musulmani in Iran.

Numerosi sono gli esempi che dimostrano le affinità politiche evidenti tra la rivoluzione iraniana e i Fratelli Musulmani. Fin dalla sua fondazione, la Repubblica Islamica è stata un modello per importanti leader dei Fratelli Musulmani, dal libanese Fathi Yakan al tunisino Rached Ghannouchi, fondatore del Movimento della Tendenza Islamica (MTI) – il futuro movimento Ennahda – e molti altri che vedono nella rivoluzione iraniana un esempio da seguire per riportare le loro società a un Islam considerato più puro.

Nel giugno del 2012, Mohamed Morsi, esponente del partito Libertà e Giustizia e legato ai Fratelli Musulmani egiziani, è stato eletto presidente della Repubblica. L’Iran, manifestando entusiasmo, ha applaudito la sua elezione. Solo due mesi dopo, Morsi ha visitato l’Iran in occasione del Vertice dei paesi non allineati. Questa visita ha rappresentato un evento storico: dal 1979, anno in cui l’Egitto firmò un trattato di pace con Israele, l’Iran aveva interrotto le relazioni diplomatiche con il Cairo. Tuttavia, dopo 33 anni di relazioni interrotte, un presidente egiziano è stato nuovamente accolto a Teheran, e non un presidente qualsiasi, ma un membro dei Fratelli Musulmani.

Questo entusiasmo spiega la condanna iraniana del rovesciamento di Morsi da parte dell’esercito egiziano, avvenuto nel luglio 2013, durante il quale l’Iran ha comunicato ufficialmente agli egiziani di non considerare i Fratelli Musulmani come un’organizzazione terroristica.

Nel febbraio del 2016, Oussama Hamdan, incaricato delle relazioni esterne per il movimento palestinese, ha visitato Teheran. Dopo una serie di incontri con i funzionari iraniani, il comunicato di Hamas è stato inequivocabile: si prospettava l’apertura di una “nuova pagina” nelle relazioni con Teheran. La questione palestinese è profondamente legata all’ideologia iraniana: nonostante le divergenze sulla crisi siriana, il sostegno dell’Iran a Hamas è rimasto costante nel tempo.

Solo considerando l’evoluzione dell’islam politico si possono comprendere appieno le mosse iraniane: l’attacco a Israele è stato più una risposta simbolica che effettiva. Questo si è verificato similmente quattro anni fa, quando gli Stati Uniti hanno ucciso il comandante della Forza Quds iraniana, Qasem Soleimani. L’Iran aveva necessità di una reazione simbolica per mantenere la propria immagine e ha chiesto di poterlo fare. Gli Stati Uniti hanno consentito all’Iran di attaccare la propria base aerea di Ayn Al-Asad, assicurando che nessuno venisse ferito. Quindici missili sono stati lanciati contro la base, causando danni minori e senza perdite di vite umane. Qualcuno ha commentato ironicamente l’attacco proponendo l’Iran per il Premio Nobel per la Pace per essere riuscito a lanciare 15 missili senza uccidere nessuno.

È evidente che l’islam politico trae nutrimento da queste risposte simboliche per espandere il proprio seguito. Basta osservare i social media nel mondo arabo per notare l’eco positiva che rafforza l’immagine degli iraniani come ultimo baluardo contro “l’aggressione israeliana ai fratelli palestinesi di Gaza” e come l’unico paese islamico in lotta contro “il grande Satana”, come vengono chiamati gli Stati Uniti a Teheran.

I sondaggi dimostrano che l’ideologia della fratellanza sta guadagnando terreno ovunque. Secondo uno studio del Pew Research Center, una maggioranza schiacciante di musulmani intervistati in Indonesia (91%), Libano (58%), Pakistan (69%), Nigeria (82%), Egitto (85%) e Giordania (76%) desidera un maggiore peso dell’Islam nelle questioni politiche dei loro rispettivi paesi; la stessa tendenza si osserva in Turchia (38%). E’ una ricerca pubblicata nel 2010. Oggi sicuramente i numeri saranno assolutamente più importanti a favore del discorso islamista. Questo è il vero pericolo che si sta avvicinando. I paesi arabi che hanno scommesso sulla pace con Israele sono coscienti dell’uso iraniano e dell’islam politico della causa palestinese. Questi paesi mantengono, contro le proprie opinioni pubbliche, rapporti con Israele con la speranza di risolvere la questione in un modo soddisfacente che passa obbligatoriamente per la nascita di uno Stato Palestinese. Netanyahu e suo governo devono capire questa esigenza. L’Iran – e da anni –  mira a destabilizzare i paesi arabi con l’aiuto della sua quinta colonna formata da un islam politico che per arrivare ai suoi obiettivi non si ferma davanti a niente. La sconfitta politica o militare non significa in nessun modo la fine di una ideologia, quella dell’islam politico, dove c’è poco islam e molta politica.

Chi desidera analizzare la situazione attuale in Medio Oriente dovrebbe prendere in mano una mappa e osservare attentamente gli sviluppi recenti nella regione. In Iraq, lo Stato è praticamente assente, sostituito dalla milizia sciita al-Hashd al-Shaabi. In Siria, lo Stato è ridotto all’ombra di se stesso, con Bashar al-Assad, sempre più grato per il supporto iraniano e disposto ad accettare una crescente influenza di Teheran. In Libano, lo Stato è evanescente, dominato dal partito sciita Hezbollah, che segue le direttive di Teheran. Nello Yemen, la situazione è simile: non esiste più un governo centrale, ma solo le milizie sciite degli Houthi, anch’esse sotto l’influenza di Teheran. Se l’Occidente e Israele non hanno ancora compreso la portata di questi cambiamenti, allora la frase di Jihad al-Khazen, scritta 23 anni fa, rimane sorprendentemente attuale.

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Marocco, Islam