Connect with us

Articoli

Il Mediterraneo spazio della memoria

Il 29 aprile, presso l’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea, si è svolto il seminario: L’arcipelago della convergenza. Il Mediterraneo come spazio della memoria tra Islam e Europa. L’evento, organizzato dall’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha posto il problema di una necessaria rivalutazione dei rapporti tra Islam e Europa, a partire dal Mediterraneo come spazio geo-culturale di convergenza e di co-appartenenza tra due civiltà e due sponde che, oggi più che mai si percepiscono distanti.   Che piaccia oppure no, il Mediterraneo è un mare che, da sempre, tiene insieme Islam e Europa: non può e non deve essere inteso come il porto sepolto o il memoriale di scambi commerciali, migrazioni culturali, financo conflitti, tra due fittizie identità come quella di Oriente e Occidente. Invero, occorre accettare il suo esser origine ma nello stesso tempo vita pulsante e forza vivificante, i cui flutti continuano a dare forma al sapere da una parte e l’altra delle sue sponde, accogliendo il molteplice nelle sue più remote appartenenze. Come dichiarato nel manifesto dell’incontro, uno degli intenti del seminario era quello di proporre al dibattito storiografico una più ampia prospettiva sul Mediterraneo, per favorire l’ampliamento delle reciproche conoscenze e un vero confronto tra le diverse componenti: europea, asiatica ed africana e al fine di sanare lo squilibrio di conoscenze e contrastare così i crescenti pregiudizi.

Nell’introdurre il Seminario Anna Maria Oliva ha sottolineato come si registri una certa difficoltà nel definire i caratteri dell’identità Europea. Alcuni l’hanno rintracciata in un nucleo post-carolingio poi esteso ad una area più ampia in un periodo che va dal X al XIV secolo, lo stesso, però, che la medievistica europea ha ormai acquisito come il lungo lasso  di tempo in cui il Mediterraneo acquista la sua centralità. Vi è dunque una duplicità di prospettiva che perdura anche oggi e che spesso emerge anche nelle politiche della Comunità Europea. E’ necessario andare oltre l’attitudine storiografica ancora molto forte di considerare il Mediterraneo solo in termini di sviluppo economico e commerciale dell’Occidente ricercando una composizione tra l’area continentale e l’area mediterranea in passato così legata all’Oriente e al mondo bizantino e musulmano.

Ha quindi preso la parola Michele Scarpati che ha ricordato come le riflessioni che hanno suggerito il Seminario intrecciano percorsi che appartengono alla geografia umana ben oltre i confini geo-politici dell’arcipelago mediterraneo. Si tratta, ha proseguito Scarpati, di correggere una postura ideologica: la Reconquista e l’apertura atlantica segnano un cambiamento dei rapporti di forza tra la riva nord e quella sud del Mediterraneo. L’Europa ha organizzato la rappresentazione dello spazio mediterraneo secondo un modello che segue lo sviluppo e le logiche del suo pensiero a partire dal XVI secolo. Tuttavia l’esistenza di una straordinaria convergenza mediterranea è suffragata, tra l’altro, dalle più recenti ricerche sul lessico filosofico arabo che dimostrano la straordinaria continuità in un periodo che va dal 500 al 100 dopo Cristo tra culture apparentemente distanti e la stretta relazione tra pensiero greco, pensiero ebraico, cristiano, islamico e speculazioni in lingua armena, siriaca e in sanscrito. In questo ambito la filosofia araba ha rappresentato un fondamentale punto di snodo tra Europa e Asia, nonostante la tendenza europea a ridurre o marginalizzare l’importanza e l’originalità del pensiero arabo-islamico. Lo spunto per il seminario è venuto anche dalle riflessioni di alcuni pensatori magrebini: egiziani e algerini che si sono formati, però, in Europa; questi intellettuali arabi si sono interrogati su cosa significasse la cultura e la realtà mediterranea per le due società, europea e nord africana ed hanno evidenziato quanto, tutto sommato, fosse marginale il ruolo del Mediterraneo nella costruzione dell’odierna Unità Europea.

“L’incontro di oggi – ha sottolineato in conclusione Scarpati –  vuole dunque offrire una opportunità di confronto e riflessione per sferrare un colpoo d’artiglio ontologico sulla radicalizzazione tra Occidente e Oriente ritrovando nel Mediterraneo le coordinate di un incontro da coniugare al presente”.

I lavori si sono aperti con la lettura della Prof.ssa Francesca Corrao del contributo del Prof. Massimo Campanini che non è potuto intervenire. Campanini ha introdotto il tema del  mito del viaggio (tra Oriente e Occidente) attraverso un percorso tematico che ha narrato  e intrecciato le storie di Dante, Ulisse, Nietzsche e il poeta musulmano-pakistano del XX secolo, Muhammad Iqbāl. Comparando il paradigma del viaggio tra la tradizione giudeo-cristiana e quella islamica, Campanini ha cercato di indagare – tra queste differenti tradizioni culturali – la natura del viaggio inteso come telos e non come puro moto a luogo.

In ambito occidentale , secondo Campanini, il viaggio che va da Ulisse a Dante e oltre non termina con un cambiamento, una trasformazione o evoluzione personale del viaggiatore. Il viaggio nell’Islam invece, è un viaggio che giunge a una meta, cioè a una distinzione tra un prima e un dopo temporali, spirituali, cioè nel senso della Rivelazione di Dio; arriva dunque a far comprendere all’uomo, il determinarsi dell’evoluzione della storia nell’ottica della presenza e del messaggio di Dio. Tra Muhammad Iqbāl e Dante, la figura di Nietzsche si pone provocatoriamente come figura mediana, poiché Nietzsche, pur non essendo un viaggiatore, si fa interprete del senso nichilistico della fine del mondo e della fine dei  valori della civiltà contemporanea e anche come colui che è capace di transire.  Secondo Campanini in Nietzsche si ritrova l’idea del viaggio, la cui destinazione è il superamento delle possibilità umane e dunque anche di recupero del tempo.

Sempre sul tema del viaggio, è intervenuto il Prof. Amedeo Feniello, che ha narrato il viaggio dell’arciprete Leone, vissuto alla corte del Duca Giovanni III, e inviato nel 956 da quest’ultimo a Constantinopoli. Il viaggio di Leone, ha sottolineato  Feniello non è stata una semplice missione diplomatica, ma rivela importanti ragioni di commercio culturale: infatti Giovanni ordinò a Leone di cercare, selezionare e ricopiare importanti opere (letterarie, scientifiche, storiche etc…) da riportare a Napoli per ampliare e arricchire la propria personale biblioteca. I titoli delle opere richieste colpiscono, per la varietà. Tra i testi ricopiati, un ruolo di primo piano è quello de: il Romanzo d’Alessandro, la storia leggendaria delle guerre e dei viaggi di Alessandro Magno. Testo tradotto dal greco al latino che ebbe una straordinaria fortuna in tutte le corti europee. Feniello ha ricordato oltre al commercio inter-culturale  anche l’esistenza di uno sviluppato ed esteso circuito commerciale in tutto il Mediterraneo, basato su rapporti fiduciari, tra società e individui, differenti per appartenenza etnica e religiosa, sottolineando ancora una volta lo straordinario sincretismo, pur in presenza di conflitti, delle società mediterranee medioevali. I musulmani ad esempio conoscevano e utilizzavano forme di contratto simile alla commenda;queste tipologie di contratto e di scambio commerciale-economico, erano condivise da tutte le civiltà attive nel Mediterraneo, pur subendo modificazioni linguistiche e di contenuto, anche in base alle esigenze e all’utilizzo di ogni specifica società.

È quindi intervenuta la Prof.ssa Francesca Corrao che ha illustrando l’influenza arabo-musulmana in Sicilia in ambito letterario, attraverso la lettura di alcuni versi  di poesie di autori mussulmani che hanno particolarmente influenzato la poetica dell’epoca di Federico II di Svevia. Tema, ancora troppo poco conosciuto, e quasi del tutto assente dalle ricostruzioni della Scuola poetica siciliana. Corrao ha invece rintracciato, attraverso l’analisi di diversi brani poetici,  l’influenza dei poeti arabi siciliani (basti pensare al grande Ibn Hamdis) su autori come Giacomo da Lentini (in particolar modo l’uso delle allitterazioni alla maniera araba).

Corrao ha ricordato, inoltre, che l’esercito arabo che conquistò la Sicilia, era composto non solo da musulmani, ma anche da berberi di differenti religioni –  il che dimostra ancora una volta come in quel periodo fosse effettiva la convivenza tra credi religiosi diversi. L’ampio ed articolato panorama multidisciplinare offerto da Corrao ha introdotto anche le recenti scoperte archeologiche che hanno portato alla luce reperti  (in un periodo cronologico che va dall’827 al 1040), che  dimostrano l’introduzione araba nell’isola di colorazioni come il verde e il giallo e l’utilizzo della tecnica dell’invetriatura fino ad allora sconosciuta in Sicilia. Oltre alle ceramiche, a Palermo venne avviato anche il commercio e la produzione della seta, venne introdotta la coltivazione delle arance, dei limoni e innovativi sistemi di irrigazione.

Di mondo arabo contemporaneo, ha invece parlato Zouhir Louassini. Il giornalista della Rai, esaminando il problematico rapporto tra l’Io europeo e l’altro arabo-musulmano, ha ragionato sulle diverse forme della rappresentazione tra Islam e Europa, con una attenzione particolare a quelle veicolate dai media. Ricordando una delle principali opere dello storico marocchino Abdallah Laroui, L’idéologie arabe contemporaine: essai critique, Louassini ha circoscritto ulteriormente il problema della nascita di una ideologia araba che si esprime relazionandosi costantemente all’Occidente e ai suoi valori.  Secondo Louassini, il lavoro di Laroui, è fondamentale per comprendere il quadro delle relazioni tra mondo arabo-musulmano e mondo cristiano-europeo, poiché egli teorizza tre modelli antropologici che corrispondono a tre approcci differenti tra l’Io arabo e l’altro occidentale. I primi due vedono nell’Occidente un modello tecnico e un riferimento per la costruzione di una democrazia liberale, capace di far  uscire il mondo arabo dall’oscurantismo (risalente all’egemonia ottomana) e aggiornare le categorie del mondo arabo alla modernità. La terza tipologia antropologica continua a visualizzare il mondo per opposizioni, principalmente religiose, guarda all’Islam come una religione superiore al Cristianesimo e non trova nell’Occidente né un modello di confronto né una possibile fonte di dialogo. Infine Louassini ha narrato anche delle difficoltà che incontrano i musulmani e più in generale tutti gli arabi o di origine araba che vivono in Europa; infatti, sono spesso al centro di pregiudizi e accuse per fatti come gli attentati terroristici che, in realtà, non hanno niente a che vedere con l’Islam né con coloro che sono ormai radicati in Europa. In chiusura il giornalista ha ricordato  come i mezzi di comunicazione, in Europa così come nei paesi arabi, siano determinanti nell’accentuare una dialettica amico/nemico, in funzione di ideologie politiche e di interessi economici che non tengono conto della reale complessità di una storia che unisce le civiltà mediterranee. Louassini ha poi fatto una rapida analisi storica di come le due società araba e europea abbiano, nel corso del dopo guerra e dopo il periodo coloniale, attraversato fasi diverse di avvicinamento e di allontanamento in conseguenza della situazione geopolitica internazionale.

Tutti gli interventi, pur se da prospettive diverse, hanno evidenziato elementi importanti di un comune patrimonio culturale in una analisi che, dall’alto medioevo sino alla contemporaneità, ha offerto un panorama ricco ed interessante dei reciproci rapporti ed influssi. Le riflessioni poi sulle stagioni a noi più vicine e sull’attualità hanno messo in luce l’urgenza di favorire e riprendere un dialogo comparato e interdisciplinare sulla storia del Mediterraneo, perché le due rive possano finalmente ritrovarsi come estremi di un ricominciamento culturale sempre possibile e non come opposti divisi, dogmaticamente e ideologicamente cinti di mura.

Articoli

Un Assad sunnita o il padre illuminato di una nuova Siria? Che cosa possiamo aspettarci da Al Sharaa

La vera incognita è se il suo cambiamento sia sincero o se sia solo l’ennesima maschera di un gioco politico più grande

Zouhir Louassini Rainews 24 (03-02-2025)

A Damasco, lontano dalle telecamere ufficiali, un incontro ha catturato l’attenzione della Siria e della comunità internazionale. Ahmed Al Shaara, il nuovo presidente siriano, ha presentato sua moglie, Latifa Al Shaara, a un gruppo di donne della diaspora siriana negli Stati Uniti. Un gesto apparentemente semplice, ma carico di implicazioni politiche e simboliche.

Al Shaara ha colto l’occasione per smentire le voci secondo cui avrebbe più mogli, dichiarando con tono scherzoso: “Non c’è nessun’altra, tutto ciò che sentite sui social media sono solo voci”. Le presenti hanno descritto Latifa Al Shaara come una donna elegante, istruita e discreta, dal portamento raffinato e dallo stile tradizionale ma sobrio. Ma oltre le apparenze, questo episodio suggerisce un nuovo corso per la Siria, una nazione che, dopo anni di conflitto, si trova ora a un bivio sotto la guida di un leader con un passato complesso e un futuro ancora tutto da scrivere.

Ahmed Al Shaara, già noto con il nome di Abu Mohammed Al Jolani, è stato a lungo una figura controversa sulla scena siriana. Fondatore di Jabhat al-Nusra, l’ex filiale siriana di Al Qaeda, ha saputo trasformare il proprio ruolo, passando da capo jihadista a leader politico riconosciuto. Con il tempo, ha smussato le posizioni più radicali, distanziandosi dall’estremismo e ricollocandosi in una dimensione più pragmatica. La sua organizzazione, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha evoluto la propria natura da gruppo militante a entità amministrativa che governa Idlib, imponendo leggi, gestendo infrastrutture e stabilendo relazioni strategiche con la Turchia e il Qatar. Ora, con il sostegno ufficiale di Ankara, Doha e Riyadh, ha consolidato il suo potere e ha ottenuto quella legittimità politica che per anni sembrava irraggiungibile.

Il sostegno di questi attori regionali è un elemento cruciale per comprendere il futuro di Al Shaara. La Turchia lo considera una figura chiave per stabilizzare il nord della Siria e contenere l’influenza curda, mentre il Qatar e l’Arabia Saudita vedono in lui un’opportunità per ridisegnare gli equilibri di potere nella regione, sfidando l’influenza iraniana e la presenza russa. La sua leadership rappresenta quindi una svolta non solo per la Siria, ma per l’intero Medio Oriente. Tuttavia, la sua accettazione sulla scena internazionale rimane un punto interrogativo. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea continuano a guardarlo con diffidenza.

Ma il vero cambiamento che Al Shaara porta in Siria è reale o solo un’operazione di facciata? Se da un lato la sua immagine pubblica si è ripulita rispetto al passato, dall’altro la sua ascesa è ancora legata a logiche di potere regionali e a un contesto in cui il pragmatismo si mescola a calcoli strategici. La presentazione della first lady e la costruzione di un’immagine presidenziale moderna potrebbero non essere altro che strumenti per ottenere la fiducia dell’Occidente, dimostrare di essere un interlocutore affidabile e spingere per una rimozione graduale delle sanzioni. Il suo tentativo di mostrarsi come un leader “responsabile”, aperto al dialogo e distante dal jihadismo del passato potrebbe convincere alcuni, ma non cancella il fatto che il suo potere si fondi ancora su una rete di alleanze militari e sull’uso della forza per mantenere il controllo nelle aree sotto il suo dominio.

Il futuro di Al Shaara potrebbe seguire diverse direzioni. Se riuscirà a consolidare il proprio governo e ottenere riconoscimenti diplomatici più ampi, potrebbe emergere come il leader di una Siria post-Assad, offrendo un’alternativa a decenni di dominio alawita e di repressione. Se invece le pressioni esterne e le rivalità interne dovessero indebolirlo, potrebbe ritrovarsi a gestire un potere fragile, limitato alle aree sotto il suo diretto controllo e sempre esposto al rischio di destabilizzazione.

La presentazione pubblica di Latifa Al Shaara non è solo un episodio di cronaca, ma un tassello di una strategia più ampia. Costruire un’immagine presidenziale, legittimare il proprio ruolo e distanziarsi dal passato jihadista sono passi fondamentali per garantire la stabilità del suo governo e ottenere il riconoscimento internazionale. Ma la domanda rimane aperta: sarà un nuovo “Assad sunnita”, in grado di governare con fermezza una Siria frammentata, o riuscirà a tracciare una via alternativa, modellando un nuovo equilibrio politico per il Paese? La vera incognita è se il suo cambiamento sia sincero o se sia solo l’ennesima maschera di un gioco politico più grande. Il suo destino dipenderà dalla capacità di navigare tra le ambizioni regionali e le sfide interne, in uno scenario dove nulla è ancora definitivamente scritto.

Continue Reading

Articoli

Gaza, una tregua labile tra le macerie: le cause profonde del conflitto restano senza risposta

Zouhir Louassini Rainews 16-01-2025

Se non accadrà nulla di imprevisto, una tregua è attesa per domenica prossima. Non si tratta, tuttavia, di un accordo di pace, ma di un semplice cessate il fuoco temporaneo. Ed è proprio questo il nodo cruciale: la tregua non affronta le cause profonde del conflitto né offre alcuna prospettiva concreta di una soluzione stabile e duratura. Nel frattempo, i bombardamenti continuano senza sosta, il numero delle vittime cresce inesorabilmente e Gaza appare sempre più devastata, piegata al limite delle sue possibilità.

Eppure, nonostante questa desolazione, la leadership di Hamas non rinuncia a proclamare una “vittoria”, amplificata dai movimenti islamisti e da alcune frange della sinistra araba che celebrano la resistenza contro Israele. Ma cosa rimane davvero di questa proclamata “vittoria”? Soltanto macerie, migliaia di sfollati, decine di migliaia di morti e una popolazione intrappolata in una crisi umanitaria senza fine. Dichiarare un trionfo in condizioni tanto drammatiche appare più come un esercizio di propaganda che una rappresentazione onesta della realtà.

Hamas, inoltre, sembra incapace o forse volutamente restio a riconoscere i profondi cambiamenti che hanno trasformato il panorama geopolitico della regione negli ultimi quindici mesi. Hezbollah, un tempo al centro delle dinamiche di potere, ha visto indebolirsi la propria influenza; l’Iran, a lungo protagonista, ha subito sconfitte decisive che ne hanno ridimensionato il ruolo nella regione. Nel frattempo, il regime di Bashar al-Assad è crollato, aprendo la strada a un nuovo governo impegnato a riconquistare il controllo sulla Siria. In Libano, un nuovo presidente cerca di ristabilire l’autorità dello Stato, lavorando per ricondurre le milizie di Hezbollah sotto il comando centrale, un passaggio che sta ridisegnando i fragili equilibri interni ed esterni del Paese.

Parallelamente, Hamas sembra ignorare il ruolo crescente della Turchia di Erdogan, che si sta affermando come uno dei principali vincitori di questi sconvolgimenti regionali. Con una strategia chiara e ambiziosa, Erdogan sta capitalizzando sui vuoti di potere lasciati dall’Iran, espandendo la propria influenza economica, politica e militare. Dal Mediterraneo orientale alla Libia, passando per il Medio Oriente, la Turchia si posiziona come una potenza regionale, richiamando l’eredità e l’ambizione dell’antico Impero Ottomano. Questo dinamismo turco si intreccia con la debolezza degli attori tradizionali, rendendo Ankara un interlocutore chiave nel nuovo assetto geopolitico.

Paradossalmente, le azioni di Hamas hanno fornito anche una via d’uscita politica a Benjamin Netanyahu. Prima del 7 ottobre, il primo ministro israeliano affrontava una crisi politica interna senza precedenti, aggravata dalle proteste contro le sue riforme giudiziarie e dal crescente malcontento nei suoi confronti. Tuttavia, il conflitto con Gaza gli ha permesso di ridefinire la sua immagine, trasformandolo in un difensore degli interessi nazionali. Oggi Netanyahu si presenta come una figura quasi eroica, sostenuta da un’opinione pubblica unita nel percepire il conflitto come una questione esistenziale.

Riconoscere le responsabilità di Hamas, tuttavia, non significa ignorare quelle di Israele nella situazione attuale. Il conflitto in Medio Oriente non è iniziato il 7 ottobre, ma affonda le sue radici in decenni di tensioni, errori e incomprensioni. Senza una piena consapevolezza dei fattori storici e politici che hanno condotto a questa realtà, Israele rischia di ripetere gli stessi errori. La forza militare da sola non è sufficiente: servono visione, strategia e comprensione delle dinamiche regionali. Solo così sarà possibile non solo vincere, ma costruire un futuro sostenibile. Questo approccio potrebbe rappresentare un elemento cruciale per qualunque reale prospettiva di pace.

Questi sviluppi, che avrebbero dovuto stimolare una revisione strategica da parte di Hamas, sono invece stati ignorati. Il movimento appare ancorato a una visione politica e strategica superata, incapace di adattarsi alla velocità con cui il Medio Oriente evolve. Questa cecità politica non solo isola ulteriormente Gaza, ma condanna la sua popolazione a restare prigioniera di un’ideologia distante dalla realtà e dalle necessità più urgenti, fino alla prossima guerra e alla futura tregua.

Continue Reading

Articoli

La “nuova Siria”, ancora prigioniera di un ciclo di dittature e fanatismi

di Zouhir Louassini Rainews (10-12-2024)

Il regime siriano di ieri era oppressivo, e quello attuale non è da meno, se non addirittura più oscuro. Una visione che soffoca ogni speranza continua a prevalere, lasciando un popolo già stremato dalla guerra intrappolato in un ciclo di dolore e repressione. Negli ultimi giorni, la Siria è tornata al centro del dibattito internazionale, ma non per le ragioni che si potrebbero immaginare. Gli sviluppi sul campo mettono in luce le contraddizioni morali di molti osservatori e governi, mentre una narrativa ambigua si adatta agli interessi geopolitici del momento.

Gruppi che fino a poco tempo fa erano considerati terroristi vengono ora descritti da alcuni come “ribelli” o persino “resistenze legittime”. Tuttavia, questo cambiamento terminologico non si basa su una trasformazione reale delle loro azioni o ideologie, bensì su un adeguamento linguistico dettato da necessità strategiche, che cela un pericoloso doppio standard. Le azioni di questi gruppi armati, responsabili di terrore e destabilizzazione, vengono giustificate senza considerare le devastanti implicazioni per il paese. Come si può condannare un attore in un contesto e legittimarlo in un altro? Quali sono le conseguenze per una nazione che da anni paga un prezzo altissimo per la sua instabilità?

L’Islam politico, con le sue molteplici sfumature, condivide l’obiettivo di imporre una visione rigida della società, in opposizione non solo ai valori occidentali, ma anche a ogni tentativo di modernizzare il mondo arabo-islamico. La modernità è spesso percepita come un’imposizione culturale estranea alla tradizione. Questa visione si radica nella Fratellanza Musulmana e negli scritti di Sayyid Qotb, uno dei principali ideologi del movimento, che ha elaborato molte delle teorie alla base del Jihad moderno.

La figura di Sayyid Qotb è centrale per comprendere le radici ideologiche di molti movimenti islamisti contemporanei. Nel suo testo più noto, Ma‘alim fi al-Tariq (Pietre miliari), Qotb teorizza la necessità di un’azione militante, o Jihad, per costruire una società islamica autentica, purificata da qualsiasi influenza occidentale o moderna. Per Qotb, l’Occidente rappresenta una corruzione morale e una minaccia esistenziale per il mondo islamico. Inoltre, egli definisce come jahiliyya (ignoranza pre-islamica) non solo l’Occidente, ma anche qualsiasi governo musulmano che non aderisca rigidamente alla sharia. Il Jihad, secondo questa visione, non si limita alla difesa, ma diventa un obbligo offensivo per abbattere sistemi considerati corrotti o deviati, ispirando movimenti come Al-Qaeda e ISIS.

Le idee di Qotb, unite alla capacità della Fratellanza di adattare il proprio linguaggio, rendono l’avanzata dell’Islam politico ancora più insidiosa. Dietro parole apparentemente rassicuranti si nasconde una visione totalitaria che rifiuta ogni apertura. Questo duplice gioco alimenta non solo il sospetto verso l’Islam politico, ma anche conflitti interni alle società arabe, dove il linguaggio della moderazione è spesso utilizzato per legittimare agende estremiste.

La Siria rappresenta oggi il simbolo di profonde contraddizioni. I cambiamenti di assetto politico non riflettono una reale evoluzione sul terreno, ma rispondono a strategie geopolitiche che trascurano le drammatiche conseguenze per il popolo siriano. Dietro queste nuove definizioni si nasconde una visione totalitaria che rifiuta il pluralismo e ogni forma di compromesso, condannando il paese a rimanere intrappolato in un ciclo di oppressione. Né il regime di Bashar al-Assad né le forze jihadiste offrono un’alternativa credibile in grado di restituire dignità e diritti alla popolazione.

Nessuno rimpiange il regime di Bashar al-Assad, che ha trasformato la Siria in uno stato poliziesco caratterizzato da repressione brutale, torture e violazioni sistematiche dei diritti umani. Tuttavia, la sua caduta non ha portato né pace né libertà, lasciando spazio a nuovi oppressori guidati da ideologie totalitarie che soffocano ogni speranza di cambiamento. La Siria rimane prigioniera di un ciclo di dittature e fanatismi, senza una reale prospettiva di transizione.

La vera tragedia della Siria è il fallimento di una trasformazione autentica, capace di offrire al suo popolo pace, libertà e dignità. Le aspirazioni di milioni di persone continuano a essere tradite da chi sfrutta religione o politica per consolidare il proprio dominio. È tempo di superare le contraddizioni della politica internazionale e di riconoscere che la Siria non può restare intrappolata in un futuro senza speranza. Solo una visione chiara e coerente, che metta al centro le legittime esigenze del popolo siriano, potrà spezzare questo ciclo di sofferenza e offrire al paese una prospettiva di rinascita.

Continue Reading

Marocco, Islam