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Il Mediterraneo spazio della memoria

Il 29 aprile, presso l’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea, si è svolto il seminario: L’arcipelago della convergenza. Il Mediterraneo come spazio della memoria tra Islam e Europa. L’evento, organizzato dall’Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha posto il problema di una necessaria rivalutazione dei rapporti tra Islam e Europa, a partire dal Mediterraneo come spazio geo-culturale di convergenza e di co-appartenenza tra due civiltà e due sponde che, oggi più che mai si percepiscono distanti.   Che piaccia oppure no, il Mediterraneo è un mare che, da sempre, tiene insieme Islam e Europa: non può e non deve essere inteso come il porto sepolto o il memoriale di scambi commerciali, migrazioni culturali, financo conflitti, tra due fittizie identità come quella di Oriente e Occidente. Invero, occorre accettare il suo esser origine ma nello stesso tempo vita pulsante e forza vivificante, i cui flutti continuano a dare forma al sapere da una parte e l’altra delle sue sponde, accogliendo il molteplice nelle sue più remote appartenenze. Come dichiarato nel manifesto dell’incontro, uno degli intenti del seminario era quello di proporre al dibattito storiografico una più ampia prospettiva sul Mediterraneo, per favorire l’ampliamento delle reciproche conoscenze e un vero confronto tra le diverse componenti: europea, asiatica ed africana e al fine di sanare lo squilibrio di conoscenze e contrastare così i crescenti pregiudizi.

Nell’introdurre il Seminario Anna Maria Oliva ha sottolineato come si registri una certa difficoltà nel definire i caratteri dell’identità Europea. Alcuni l’hanno rintracciata in un nucleo post-carolingio poi esteso ad una area più ampia in un periodo che va dal X al XIV secolo, lo stesso, però, che la medievistica europea ha ormai acquisito come il lungo lasso  di tempo in cui il Mediterraneo acquista la sua centralità. Vi è dunque una duplicità di prospettiva che perdura anche oggi e che spesso emerge anche nelle politiche della Comunità Europea. E’ necessario andare oltre l’attitudine storiografica ancora molto forte di considerare il Mediterraneo solo in termini di sviluppo economico e commerciale dell’Occidente ricercando una composizione tra l’area continentale e l’area mediterranea in passato così legata all’Oriente e al mondo bizantino e musulmano.

Ha quindi preso la parola Michele Scarpati che ha ricordato come le riflessioni che hanno suggerito il Seminario intrecciano percorsi che appartengono alla geografia umana ben oltre i confini geo-politici dell’arcipelago mediterraneo. Si tratta, ha proseguito Scarpati, di correggere una postura ideologica: la Reconquista e l’apertura atlantica segnano un cambiamento dei rapporti di forza tra la riva nord e quella sud del Mediterraneo. L’Europa ha organizzato la rappresentazione dello spazio mediterraneo secondo un modello che segue lo sviluppo e le logiche del suo pensiero a partire dal XVI secolo. Tuttavia l’esistenza di una straordinaria convergenza mediterranea è suffragata, tra l’altro, dalle più recenti ricerche sul lessico filosofico arabo che dimostrano la straordinaria continuità in un periodo che va dal 500 al 100 dopo Cristo tra culture apparentemente distanti e la stretta relazione tra pensiero greco, pensiero ebraico, cristiano, islamico e speculazioni in lingua armena, siriaca e in sanscrito. In questo ambito la filosofia araba ha rappresentato un fondamentale punto di snodo tra Europa e Asia, nonostante la tendenza europea a ridurre o marginalizzare l’importanza e l’originalità del pensiero arabo-islamico. Lo spunto per il seminario è venuto anche dalle riflessioni di alcuni pensatori magrebini: egiziani e algerini che si sono formati, però, in Europa; questi intellettuali arabi si sono interrogati su cosa significasse la cultura e la realtà mediterranea per le due società, europea e nord africana ed hanno evidenziato quanto, tutto sommato, fosse marginale il ruolo del Mediterraneo nella costruzione dell’odierna Unità Europea.

“L’incontro di oggi – ha sottolineato in conclusione Scarpati –  vuole dunque offrire una opportunità di confronto e riflessione per sferrare un colpoo d’artiglio ontologico sulla radicalizzazione tra Occidente e Oriente ritrovando nel Mediterraneo le coordinate di un incontro da coniugare al presente”.

I lavori si sono aperti con la lettura della Prof.ssa Francesca Corrao del contributo del Prof. Massimo Campanini che non è potuto intervenire. Campanini ha introdotto il tema del  mito del viaggio (tra Oriente e Occidente) attraverso un percorso tematico che ha narrato  e intrecciato le storie di Dante, Ulisse, Nietzsche e il poeta musulmano-pakistano del XX secolo, Muhammad Iqbāl. Comparando il paradigma del viaggio tra la tradizione giudeo-cristiana e quella islamica, Campanini ha cercato di indagare – tra queste differenti tradizioni culturali – la natura del viaggio inteso come telos e non come puro moto a luogo.

In ambito occidentale , secondo Campanini, il viaggio che va da Ulisse a Dante e oltre non termina con un cambiamento, una trasformazione o evoluzione personale del viaggiatore. Il viaggio nell’Islam invece, è un viaggio che giunge a una meta, cioè a una distinzione tra un prima e un dopo temporali, spirituali, cioè nel senso della Rivelazione di Dio; arriva dunque a far comprendere all’uomo, il determinarsi dell’evoluzione della storia nell’ottica della presenza e del messaggio di Dio. Tra Muhammad Iqbāl e Dante, la figura di Nietzsche si pone provocatoriamente come figura mediana, poiché Nietzsche, pur non essendo un viaggiatore, si fa interprete del senso nichilistico della fine del mondo e della fine dei  valori della civiltà contemporanea e anche come colui che è capace di transire.  Secondo Campanini in Nietzsche si ritrova l’idea del viaggio, la cui destinazione è il superamento delle possibilità umane e dunque anche di recupero del tempo.

Sempre sul tema del viaggio, è intervenuto il Prof. Amedeo Feniello, che ha narrato il viaggio dell’arciprete Leone, vissuto alla corte del Duca Giovanni III, e inviato nel 956 da quest’ultimo a Constantinopoli. Il viaggio di Leone, ha sottolineato  Feniello non è stata una semplice missione diplomatica, ma rivela importanti ragioni di commercio culturale: infatti Giovanni ordinò a Leone di cercare, selezionare e ricopiare importanti opere (letterarie, scientifiche, storiche etc…) da riportare a Napoli per ampliare e arricchire la propria personale biblioteca. I titoli delle opere richieste colpiscono, per la varietà. Tra i testi ricopiati, un ruolo di primo piano è quello de: il Romanzo d’Alessandro, la storia leggendaria delle guerre e dei viaggi di Alessandro Magno. Testo tradotto dal greco al latino che ebbe una straordinaria fortuna in tutte le corti europee. Feniello ha ricordato oltre al commercio inter-culturale  anche l’esistenza di uno sviluppato ed esteso circuito commerciale in tutto il Mediterraneo, basato su rapporti fiduciari, tra società e individui, differenti per appartenenza etnica e religiosa, sottolineando ancora una volta lo straordinario sincretismo, pur in presenza di conflitti, delle società mediterranee medioevali. I musulmani ad esempio conoscevano e utilizzavano forme di contratto simile alla commenda;queste tipologie di contratto e di scambio commerciale-economico, erano condivise da tutte le civiltà attive nel Mediterraneo, pur subendo modificazioni linguistiche e di contenuto, anche in base alle esigenze e all’utilizzo di ogni specifica società.

È quindi intervenuta la Prof.ssa Francesca Corrao che ha illustrando l’influenza arabo-musulmana in Sicilia in ambito letterario, attraverso la lettura di alcuni versi  di poesie di autori mussulmani che hanno particolarmente influenzato la poetica dell’epoca di Federico II di Svevia. Tema, ancora troppo poco conosciuto, e quasi del tutto assente dalle ricostruzioni della Scuola poetica siciliana. Corrao ha invece rintracciato, attraverso l’analisi di diversi brani poetici,  l’influenza dei poeti arabi siciliani (basti pensare al grande Ibn Hamdis) su autori come Giacomo da Lentini (in particolar modo l’uso delle allitterazioni alla maniera araba).

Corrao ha ricordato, inoltre, che l’esercito arabo che conquistò la Sicilia, era composto non solo da musulmani, ma anche da berberi di differenti religioni –  il che dimostra ancora una volta come in quel periodo fosse effettiva la convivenza tra credi religiosi diversi. L’ampio ed articolato panorama multidisciplinare offerto da Corrao ha introdotto anche le recenti scoperte archeologiche che hanno portato alla luce reperti  (in un periodo cronologico che va dall’827 al 1040), che  dimostrano l’introduzione araba nell’isola di colorazioni come il verde e il giallo e l’utilizzo della tecnica dell’invetriatura fino ad allora sconosciuta in Sicilia. Oltre alle ceramiche, a Palermo venne avviato anche il commercio e la produzione della seta, venne introdotta la coltivazione delle arance, dei limoni e innovativi sistemi di irrigazione.

Di mondo arabo contemporaneo, ha invece parlato Zouhir Louassini. Il giornalista della Rai, esaminando il problematico rapporto tra l’Io europeo e l’altro arabo-musulmano, ha ragionato sulle diverse forme della rappresentazione tra Islam e Europa, con una attenzione particolare a quelle veicolate dai media. Ricordando una delle principali opere dello storico marocchino Abdallah Laroui, L’idéologie arabe contemporaine: essai critique, Louassini ha circoscritto ulteriormente il problema della nascita di una ideologia araba che si esprime relazionandosi costantemente all’Occidente e ai suoi valori.  Secondo Louassini, il lavoro di Laroui, è fondamentale per comprendere il quadro delle relazioni tra mondo arabo-musulmano e mondo cristiano-europeo, poiché egli teorizza tre modelli antropologici che corrispondono a tre approcci differenti tra l’Io arabo e l’altro occidentale. I primi due vedono nell’Occidente un modello tecnico e un riferimento per la costruzione di una democrazia liberale, capace di far  uscire il mondo arabo dall’oscurantismo (risalente all’egemonia ottomana) e aggiornare le categorie del mondo arabo alla modernità. La terza tipologia antropologica continua a visualizzare il mondo per opposizioni, principalmente religiose, guarda all’Islam come una religione superiore al Cristianesimo e non trova nell’Occidente né un modello di confronto né una possibile fonte di dialogo. Infine Louassini ha narrato anche delle difficoltà che incontrano i musulmani e più in generale tutti gli arabi o di origine araba che vivono in Europa; infatti, sono spesso al centro di pregiudizi e accuse per fatti come gli attentati terroristici che, in realtà, non hanno niente a che vedere con l’Islam né con coloro che sono ormai radicati in Europa. In chiusura il giornalista ha ricordato  come i mezzi di comunicazione, in Europa così come nei paesi arabi, siano determinanti nell’accentuare una dialettica amico/nemico, in funzione di ideologie politiche e di interessi economici che non tengono conto della reale complessità di una storia che unisce le civiltà mediterranee. Louassini ha poi fatto una rapida analisi storica di come le due società araba e europea abbiano, nel corso del dopo guerra e dopo il periodo coloniale, attraversato fasi diverse di avvicinamento e di allontanamento in conseguenza della situazione geopolitica internazionale.

Tutti gli interventi, pur se da prospettive diverse, hanno evidenziato elementi importanti di un comune patrimonio culturale in una analisi che, dall’alto medioevo sino alla contemporaneità, ha offerto un panorama ricco ed interessante dei reciproci rapporti ed influssi. Le riflessioni poi sulle stagioni a noi più vicine e sull’attualità hanno messo in luce l’urgenza di favorire e riprendere un dialogo comparato e interdisciplinare sulla storia del Mediterraneo, perché le due rive possano finalmente ritrovarsi come estremi di un ricominciamento culturale sempre possibile e non come opposti divisi, dogmaticamente e ideologicamente cinti di mura.

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وهم القوة

 هسبريس .زهير الوسيني

 

وهم القوة
كاريكاتير: عماد السنوني

 

الإسلام السياسي، في زيه المغربي وهو الذي يهمني هنا أساسًا، يمتلك القدرة الكبيرة على تبرير كل شيء. الإيمان بإيديولوجيا مليئة بالقناعات بدلًا من تبني رؤية استراتيجية بعيدة المدى، أصبح يشكل خطرًا حقيقيًا يهدد مستقبل بلادنا إذا لم يتحل زعماء هذا التيار بكثير من التروي والحكمة.

الغرض من هذه التوطئة هو تسليط الضوء على الهجوم الذي نفذته إيران ضد إسرائيل صباح يوم الأحد الماضي، والذي لقي ردود فعل واسعة بين العديد من المتابعين في المغرب. فقد اعتبره الكثيرون، خاصة من أتباع التيار الإسلامي، ردًا بطوليًا على التصرفات الإسرائيلية، سواء تلك التي قامت بها حكومة الاحتلال في غزة خلال الستة أشهر الماضية أو الهجوم الأخير الذي نفذته على القنصلية الإيرانية في دمشق.

الردود الانفعالية التي ظهرت في العديد من التعليقات التي أعقبت الهجوم الإيراني تؤكد مرة أخرى أن الشارع العربي، ومن ضمنه جزء كبير من الشارع المغربي، مازال يسيطر عليه تفكير يفتقر إلى المنطق الذي يمكّنه من فهم العالم المعقد الذي نعيش فيه. تكرار النكسات ربما أفقد العقل العربي القدرة على الاستيعاب، وبالتالي القدرة على بناء رؤية مستقبلية تساعده على تحقيق تحول نوعي ينأى به عن الفوضى التي تهدد وجوده ككيان اجتماعي، بعد أن تبين، ومنذ زمن طويل، غيابه ككيان سياسي فعّال.

لكي نفهم جيدًا ما حصل ليل السبت وصبيحة الأحد الماضيين، يجب العودة للرد الذي نفذته إيران في حدث مماثل قبل أربع سنوات، عندما قتلت الولايات المتحدة قائد فيلق القدس، قاسم سليماني. كانت إيران بحاجة إلى رد فعل رمزي للحفاظ على ماء وجهها، فطلبت الإذن للقيام بذلك. سمحت الولايات المتحدة لإيران بمهاجمة قاعدتها الجوية عين الأسد، مع التأكيد على أن لا أحد سيصاب بأذى. تم إطلاق خمسة عشر صاروخًا على القاعدة، مما تسبب في أضرار طفيفة وبدون خسائر في الأرواح، الأمر الذي علق عليه أحد الظرفاء بشكل ساخر بأنه يجب ترشيح إيران لجائزة نوبل للسلام لنجاحها في إطلاق 15 صاروخًا دون قتل أحد.

الهجوم الأخير على إسرائيل يدخل في هذا الباب ويجب قراءته داخل هذا السياق. رمزية الرد أهم بالنسبة لطهران من نتائجه. فالمسألة هي موجهة أساسًا لرأي عام داخلي في حاجة ماسة لدغدغة عواطفه الجامحة حيث يختلط الكبرياء القومي بنزعة شوفينية تساهم في تكريس سيطرة من بيدهم السلطة. أسلوب معروف تعتمده كل الأنظمة الضعيفة التي تحتاج إلى إبراز عضلاتها الهشة.

كما أن هذا الرد يفيد في تكريس وهم القوة في أذهان المنتمين إلى التيار الإسلامي، وإيران ضمنهم، الذين يحتاجون لأي عملية عسكرية مهما كانت ضحالتها للحديث عن انتصارات يرونها هم لوحدهم فقط.

الأدهى هو أن هذا الهجوم لم يستفد منه فعليًا سوى شخص واحد: نتنياهو، رئيس الحكومة الإسرائيلية المتطرفة. الرجل كان قد وصل لعزلة عالمية تامة نتيجة سياسته الهوجاء في غزة، فإذا بهجمة الألعاب النارية الإيرانية تبعث فيه روحًا جديدة ليصبح مرة أخرى محاورًا للدول العظمى وضامنًا لأمن واستقرار مواطنيه.

المشكلة مع الإخوة المقتنعين بالتيار الإسلامي في المغرب أساسًا، ومع احترامي لآرائهم بطبيعة الحال، أنهم يجدون دائمًا في مقاربتهم السياسية تبريرًا لإقناع أنفسهم بصحة نهجهم عوضًا عن تمحيصه أو البحث عن طريق آخر كفيل بإنتاج تصور مختلف لمجتمع مستعد لمواجهة التحديات الحالية والمستقبلية والتي أصبحت معقدة جدًا.

الإخوة المشارقة لم يفهموا قواعد اللعبة والنتيجة أمامكم تتجلى في دول شبحية تنعدم فيها الدولة وتسيطر عليها مليشيات في العراق وسوريا ولبنان واليمن.

نحن في المغرب، كي لا نسقط في الفخ نفسه، لنترك الأبواب مفتوحة لحوار بناء بين كل فئات المجتمع بدون تخوين للناس بسبب آرائهم، لنشرح حيثيات الواقع الجيوبوليتيكي الجديد بعد فهمه عوضًا عن تجييش المواطنين بقضايا مهما كانت عدالتها فلا يجب استعمالها للمس بالأمن الداخلي للبلاد. لنفهم العالم جيدًا قبل أن ندعو لتغييره. وشرح الواضحات من المفضحات.

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L’Iran, Israele e il puzzle di un Medio Oriente in fiamme: ma la vera minaccia è l’Islam politico

L’attacco di Teheran a Israele è stato più una risposta simbolica che effettiva. Ma per capire il nuovo scenario che si sta delineando bisogna andare oltre gli schemi consueti

Di Zouhir Louassini (Rainews)

Il giornalista libanese Jihad al-Khazen, alla vigilia degli attentati dell’11 settembre 2001, affermava: “L’Occidente non può vincere la sua battaglia contro il terrorismo se ancora non sa distinguere tra un imam e un prete.” Nel suo articolo pubblicato su Al-Hayat, al-Khazen evidenziava come l’approccio superficiale verso il mondo dell’Islam, sia da parte della stampa che dei politici occidentali, generi confusione, impedendo di affrontare i veri problemi che hanno portato al caos in vasti settori del mondo arabo e islamico.

L’attacco iraniano contro Israele, avvenuto tra sabato e domenica scorsa, ha scatenato un’altra ondata di analisi volta a interpretare la strategia di Teheran. Queste analisi vedono la realtà sciita come antagonista del mondo sunnita, spesso percepito come un alleato naturale di Israele. Gli Accordi di Abramo sono interpretati, in questo contesto, come prova di un’intesa segreta che ha evitato danni maggiori a Tel Aviv.

Considerare la rivoluzione iraniana una mera espressione dello sciismo è limitativo. È essenziale ampliare l’orizzonte per comprendere questa rivoluzione nel suo vero contesto, quello dell’islam politico. Questa prospettiva ci permette di capire il sostegno deciso e continuo che la Repubblica Islamica ha offerto per anni a Hamas, di orientamento sunnita, e ad altri movimenti emergenti dalla Fratellanza Musulmana, fondata in Egitto nel 1928. La forza di questi movimenti si è manifestata durante la primavera araba, con l’ascesa al potere di Mohammad Morsi in Egitto e di al-Nahda in Tunisia. Solo comprendendo il significato dell’islam politico possiamo interpretare l’alleanza tra il Qatar sunnita, principale finanziatore dei movimenti islamisti, la Turchia sunnita con il modello di successo rappresentato da Erdogan, e l’Iran sciita, percepito nell’immaginario arabo e islamico come un baluardo contro l'”imperialismo americano”.

Le affinità intellettuali tra l’Iran (sciita) e la fratellanza (sunnita) sono evidenti: l’ayatollah Ali Khamenei ha tradotto in persiano le opere di Sayid Qutb, un intellettuale della Fratellanza Musulmana giustiziato nelle prigioni egiziane nel 1966.

Nel 1953, il sunnita Qutb incontrava a Gerusalemme il sciita Navvâb Safavi, predicatore e fondatore dei Fedâ’iyân-e Islam, responsabili dell’uccisione di liberali e tecnocrati iraniani tra gli anni 1940 e 1960. Come sottolineava il tunisino Rached Ghannouchi, questo movimento è visto come l’erede dei Fratelli Musulmani in Iran.

Numerosi sono gli esempi che dimostrano le affinità politiche evidenti tra la rivoluzione iraniana e i Fratelli Musulmani. Fin dalla sua fondazione, la Repubblica Islamica è stata un modello per importanti leader dei Fratelli Musulmani, dal libanese Fathi Yakan al tunisino Rached Ghannouchi, fondatore del Movimento della Tendenza Islamica (MTI) – il futuro movimento Ennahda – e molti altri che vedono nella rivoluzione iraniana un esempio da seguire per riportare le loro società a un Islam considerato più puro.

Nel giugno del 2012, Mohamed Morsi, esponente del partito Libertà e Giustizia e legato ai Fratelli Musulmani egiziani, è stato eletto presidente della Repubblica. L’Iran, manifestando entusiasmo, ha applaudito la sua elezione. Solo due mesi dopo, Morsi ha visitato l’Iran in occasione del Vertice dei paesi non allineati. Questa visita ha rappresentato un evento storico: dal 1979, anno in cui l’Egitto firmò un trattato di pace con Israele, l’Iran aveva interrotto le relazioni diplomatiche con il Cairo. Tuttavia, dopo 33 anni di relazioni interrotte, un presidente egiziano è stato nuovamente accolto a Teheran, e non un presidente qualsiasi, ma un membro dei Fratelli Musulmani.

Questo entusiasmo spiega la condanna iraniana del rovesciamento di Morsi da parte dell’esercito egiziano, avvenuto nel luglio 2013, durante il quale l’Iran ha comunicato ufficialmente agli egiziani di non considerare i Fratelli Musulmani come un’organizzazione terroristica.

Nel febbraio del 2016, Oussama Hamdan, incaricato delle relazioni esterne per il movimento palestinese, ha visitato Teheran. Dopo una serie di incontri con i funzionari iraniani, il comunicato di Hamas è stato inequivocabile: si prospettava l’apertura di una “nuova pagina” nelle relazioni con Teheran. La questione palestinese è profondamente legata all’ideologia iraniana: nonostante le divergenze sulla crisi siriana, il sostegno dell’Iran a Hamas è rimasto costante nel tempo.

Solo considerando l’evoluzione dell’islam politico si possono comprendere appieno le mosse iraniane: l’attacco a Israele è stato più una risposta simbolica che effettiva. Questo si è verificato similmente quattro anni fa, quando gli Stati Uniti hanno ucciso il comandante della Forza Quds iraniana, Qasem Soleimani. L’Iran aveva necessità di una reazione simbolica per mantenere la propria immagine e ha chiesto di poterlo fare. Gli Stati Uniti hanno consentito all’Iran di attaccare la propria base aerea di Ayn Al-Asad, assicurando che nessuno venisse ferito. Quindici missili sono stati lanciati contro la base, causando danni minori e senza perdite di vite umane. Qualcuno ha commentato ironicamente l’attacco proponendo l’Iran per il Premio Nobel per la Pace per essere riuscito a lanciare 15 missili senza uccidere nessuno.

È evidente che l’islam politico trae nutrimento da queste risposte simboliche per espandere il proprio seguito. Basta osservare i social media nel mondo arabo per notare l’eco positiva che rafforza l’immagine degli iraniani come ultimo baluardo contro “l’aggressione israeliana ai fratelli palestinesi di Gaza” e come l’unico paese islamico in lotta contro “il grande Satana”, come vengono chiamati gli Stati Uniti a Teheran.

I sondaggi dimostrano che l’ideologia della fratellanza sta guadagnando terreno ovunque. Secondo uno studio del Pew Research Center, una maggioranza schiacciante di musulmani intervistati in Indonesia (91%), Libano (58%), Pakistan (69%), Nigeria (82%), Egitto (85%) e Giordania (76%) desidera un maggiore peso dell’Islam nelle questioni politiche dei loro rispettivi paesi; la stessa tendenza si osserva in Turchia (38%). E’ una ricerca pubblicata nel 2010. Oggi sicuramente i numeri saranno assolutamente più importanti a favore del discorso islamista. Questo è il vero pericolo che si sta avvicinando. I paesi arabi che hanno scommesso sulla pace con Israele sono coscienti dell’uso iraniano e dell’islam politico della causa palestinese. Questi paesi mantengono, contro le proprie opinioni pubbliche, rapporti con Israele con la speranza di risolvere la questione in un modo soddisfacente che passa obbligatoriamente per la nascita di uno Stato Palestinese. Netanyahu e suo governo devono capire questa esigenza. L’Iran – e da anni –  mira a destabilizzare i paesi arabi con l’aiuto della sua quinta colonna formata da un islam politico che per arrivare ai suoi obiettivi non si ferma davanti a niente. La sconfitta politica o militare non significa in nessun modo la fine di una ideologia, quella dell’islam politico, dove c’è poco islam e molta politica.

Chi desidera analizzare la situazione attuale in Medio Oriente dovrebbe prendere in mano una mappa e osservare attentamente gli sviluppi recenti nella regione. In Iraq, lo Stato è praticamente assente, sostituito dalla milizia sciita al-Hashd al-Shaabi. In Siria, lo Stato è ridotto all’ombra di se stesso, con Bashar al-Assad, sempre più grato per il supporto iraniano e disposto ad accettare una crescente influenza di Teheran. In Libano, lo Stato è evanescente, dominato dal partito sciita Hezbollah, che segue le direttive di Teheran. Nello Yemen, la situazione è simile: non esiste più un governo centrale, ma solo le milizie sciite degli Houthi, anch’esse sotto l’influenza di Teheran. Se l’Occidente e Israele non hanno ancora compreso la portata di questi cambiamenti, allora la frase di Jihad al-Khazen, scritta 23 anni fa, rimane sorprendentemente attuale.

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Nella guerra tra Israele e Hamas il manicheismo non potrà mai condurre alla pace

Per avvicinarsi ad un esito pacifico è necessario riconoscere che gli attori attuali – sia nella leadership israeliana che in quella palestinese – sono incapaci di offrire una reale speranza di riconciliazione

Molte persone hanno la tendenza di vedere i conflitti in termini di una distinzione netta tra bene e male dove le parti coinvolte tendono a rappresentare se stesse come il bene che combatte contro il male rappresentato dal nemico.

Questa interpretazione enfatizza la semplificazione e la polarizzazione delle complessità e delle sfumature presenti in ogni guerra, riducendole a una lotta tra “noi” e “loro”, bene contro male, senza riconoscere che spesso entrambe le parti possono avere ragioni legittime, responsabilità e colpe.

La notizia proveniente dal Cairo, che rivela l’incapacità di Hamas e Israele di raggiungere un accordo per una tregua in vista del mese sacro del Ramadan, suscita preoccupazioni significative.

L’annuncio del Presidente Biden sulla costruzione di un porto temporaneo per facilitare l’invio di aiuti ai palestinesi aggiunge ulteriori motivi di inquietudine. Questa decisione sembra indicare che, per l’amministrazione americana, le possibilità di una soluzione pacifica stanno diminuendo, privilegiando invece interventi umanitari diretti, come l’invio di aiuti aerei o, in questo caso, la realizzazione di una struttura portuale provvisoria per assistere i civili palestinesi. Queste misure evidenziano le difficoltà incontrate dagli Stati Uniti, Egitto e Qatar nel mediare efficacemente tra Israele e Hamas per raggiungere una tregua che possa alleviare le sofferenze dei civili.

Nonostante l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, Jack Lew, abbia affermato che le negoziazioni sono ancora in corso e che le differenze tra le parti stanno diminuendo, appare evidente che la possibilità di una pace duratura si sta allontanando, lasciando spazio a dinamiche di potere che richiedono un’analisi attenta.

Israele cerca di negoziare da una posizione di forza, puntando a una vittoria decisiva su Hamas. Al contrario, Hamas cerca di guadagnare terreno sul fronte mediatico, sfruttando la propria posizione in uno scontro militarmente asimmetrico.

Il conflitto è complesso e richiede un’analisi dettagliata. Entrambe le parti sembrano scommettere sul tempo, credendo che questo giochi a loro favore. L’aggiunta di una dimensione ideologica e religiosa al conflitto complica ulteriormente la ricerca di una soluzione equa che possa soddisfare sia israeliani che palestinesi.

Per avanzare verso la pace, è necessario riconoscere che gli attori attuali, sia nella leadership israeliana – con Netanyahu e i suoi alleati della destra religiosa e estremista – sia in quella palestinese, rappresentata da Hamas con il suo approccio terrorista, sono incapaci di offrire una reale speranza di riconciliazione.

Ci troviamo di fronte a una situazione tanto disperata che è imperativo parlare con franchezza, specialmente per coloro che osservano il conflitto da lontano e possono basarsi sui fatti. È evidente che la violenza e la morte non possono costituire una soluzione.

È necessario superare la visione manichea che domina i media, con quelli occidentali spesso favorevoli a Israele e quelli arabi inclini a sostenere Hamas. Bisogna riconoscere le vittime innocenti, sia israeliane che palestinesi, come esseri umani che stanno pagando il prezzo più alto per un conflitto protratto, nel quale le leadership di entrambe le parti hanno mostrato una totale incapacità di superare una visione riduttiva legata all’appartenenza a una specifica tribù o comunità. Riconoscere l’umanità dell’altro è un passo fondamentale verso il progresso in un conflitto che si è trascinato per troppo tempo.

Questo approccio dovrebbe rappresentare solo l’inizio per arrivare a una soluzione politica pragmatica, in cui la comunità internazionale, con gli Stati Uniti in prima linea, intervenga per fermare l’offensiva militare israeliana e per disarmare Hamas, garantendo sicurezza a tutte le parti coinvolte. È necessario abbandonare le promesse divine a favore di compromessi terreni, che possano porre fine all’insensatezza della guerra e della violenza.

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Marocco, Islam