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Siria: vicina una tregua mediata da Turchia e Russia

Radio Vaticana

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Russia e Turchia hanno raggiunto un importante accordo per il cessate il  fuoco in tutta la Siria sul modello di Aleppo  che dovrebbe iniziare alla mezzanotte di oggi. Lo riferisce l’agenzia turca Anadolu citando una fonte confidenziale coperta da anonimato. Per il momento il Cremlino non conferma e non smentisce la notizia, ma la diplomazia resta al lavoro: il capo della diplomazia russa Serghei Lavrov e l’inviato per la Siria De Mistura hanno avuto oggi un colloquio telefonico. Il servizio di Marco Guerra:

“Non posso rispondere a questa domanda, non ho sufficienti informazioni”. Così Il portavoce del Cremlino ha commentato quanto pubblicato stamane dall’agenzia di  stampa turca Anadolu, secondo cui Mosca e Ankara avrebbero raggiunto, con Damasco e i gruppi di opposizione, un accordo sul cessate il fuoco in tutta la Siria. Lo stop alle armi è previsto “in tutte le zone di combattimento tra le forze governative e quelle ribelli”, i “gruppi terroristici saranno esclusi”. Questi i termini dell’intesa. Secondo fonti anonime citate dall’agenzia turca, nel caso di successo della tregua, il mese prossimo il regime di Assad e l’opposizione inizieranno negoziati di pace ad Astana, in Kazakistan, con la mediazione di Turchia, Russia e Iran.  Sempre stando alle indiscrezioni, questa iniziativa è frutto di intensi contatti diplomatici tenuti nei giorni scorsi tra le due potenze. Intanto in seno alle Nazioni Unite, resta alta la tensione con la Russia che ha definito “categoricamente inaccettabile” una bozza franco-britannica che suggeriva nuove sanzioni. Infine sul terreno non si fermano le violenze: 22 persone appartenenti a due famiglie sono state uccise in raid compiuti da aerei non identificati su un’area nel nord-est della Siria controllata dallo Stato Islamico. Per un commento sulle trattative tra Russia e Turchia, sentiamo il giornalista esperto di mondo arabo, Zouhir Louassini:

R. – Io credo che sia la logica delle cose. La Turchia si è resa conto che l’Occidente non sta più di tanto dando una mano, anche se ci ha provato, ma in fin dei conti ora è la Russia che ha in mano le vere carte. La Turchia deve trovare una soluzione, e una mezza sconfitta è meglio di una sconfitta completa. Anche i turchi, infatti, si sono resi conto che andare verso questa linea, cercando di lottare contro il regime di Assad, non può dare risultati, soprattutto in questo momento, con il chiaro appoggio dei russi. E allora, quello che la Turchia ha fatto realmente è stato semplicemente difendere i propri interessi. La guerra in Siria sta diventando un problema serio per i turchi, perché questi ultimi hanno il problema dei curdi; e la creazione di uno Stato tra la Turchia e la Siria, che sia anche un’autonomia curda, può essere un problema per i turchi che, come noto, hanno un serio problema con la minoranza curda turca. Dunque la soluzione sempre più vicina è la seguente: un accordo tra i turchi, i russi e probabilmente anche gli iraniani, nell’attesa che si avvicinino anche i sauditi e qualche Paese del Golfo. Questa è l’unica strada al momento. Gli Stati Uniti in questa storia sono rimasti praticamente fuori.

D. – L’Occidente sembra essere estromesso dalle trattative sul futuro della Siria…

R. – L’Occidente ha dimostrato di essere incapace di prendere una decisione compatta. Come sempre, sembra un club e non un’alleanza; dove ognuno dice la sua. E invece i russi hanno le idee chiare: hanno deciso di appoggiare il regime di Assad e lo hanno fatto a modo loro. Il problema vero è che, come sempre, a pagare per questi “giochetti” sono le persone innocenti.

D. – In ogni caso, la comunità internazionale deve prendere atto che Assad sarà ancora presente nel futuro della Siria…

R. – Non è detto. Se ai russi converrà, sì. Sulla Siria si stanno mettendo d’accordo tutti i Paesi tranne che i siriani, nel senso che il regime di Assad non conta più nulla per nessuno; sono i turchi, i russi, gli iraniani e i sauditi. Ma il regime di Assad è totalmente prigioniero della logica russa.

D. – Assistiamo a una trattativa per procura tra grandi potenze; e quindi anche questa che sta avvenendo in Siria si può definire una “guerra per procura”?

R. – Io credo che all’inizio fosse un problema interno; però, man mano che non riusciva a risolversi, è diventato prima un problema regionale, poi una guerra quasi mondiale. La stessa cosa può dirsi dello Yemen e dell’Iraq: è una situazione quasi di guerra completa che ha colpito una zona dove c’è un misto di tutto: equilibri  internazionali, ideologie, e soprattutto grandi interessi.

D. – Ricordiamo che ci sono gli sciiti, i sunniti e i curdi: è un’ipotesi ancora sul tavolo quella della divisione del Paese in aree di influenza?

R. – È sempre sul tavolo: in Siria, in Iraq e nello stesso Yemen. Dividere ancora di più le zone arabe è una probabilità, solo che non c’è alcuna volontà da parte dei turchi, e soprattutto dei russi, di applicare questa logica. Può essere anche una divisione che si basi su delle autonomie: questa può essere una soluzione accettabile da tutti, tranne che dai turchi che non vogliono vedere uno Stato curdo, di qualsiasi tipo esso sia, perché quest’ultimo, essendo il loro uno spazio strategico, può significare un problema grosso per la Turchia stessa.

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Un Assad sunnita o il padre illuminato di una nuova Siria? Che cosa possiamo aspettarci da Al Sharaa

La vera incognita è se il suo cambiamento sia sincero o se sia solo l’ennesima maschera di un gioco politico più grande

Zouhir Louassini Rainews 24 (03-02-2025)

A Damasco, lontano dalle telecamere ufficiali, un incontro ha catturato l’attenzione della Siria e della comunità internazionale. Ahmed Al Shaara, il nuovo presidente siriano, ha presentato sua moglie, Latifa Al Shaara, a un gruppo di donne della diaspora siriana negli Stati Uniti. Un gesto apparentemente semplice, ma carico di implicazioni politiche e simboliche.

Al Shaara ha colto l’occasione per smentire le voci secondo cui avrebbe più mogli, dichiarando con tono scherzoso: “Non c’è nessun’altra, tutto ciò che sentite sui social media sono solo voci”. Le presenti hanno descritto Latifa Al Shaara come una donna elegante, istruita e discreta, dal portamento raffinato e dallo stile tradizionale ma sobrio. Ma oltre le apparenze, questo episodio suggerisce un nuovo corso per la Siria, una nazione che, dopo anni di conflitto, si trova ora a un bivio sotto la guida di un leader con un passato complesso e un futuro ancora tutto da scrivere.

Ahmed Al Shaara, già noto con il nome di Abu Mohammed Al Jolani, è stato a lungo una figura controversa sulla scena siriana. Fondatore di Jabhat al-Nusra, l’ex filiale siriana di Al Qaeda, ha saputo trasformare il proprio ruolo, passando da capo jihadista a leader politico riconosciuto. Con il tempo, ha smussato le posizioni più radicali, distanziandosi dall’estremismo e ricollocandosi in una dimensione più pragmatica. La sua organizzazione, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ha evoluto la propria natura da gruppo militante a entità amministrativa che governa Idlib, imponendo leggi, gestendo infrastrutture e stabilendo relazioni strategiche con la Turchia e il Qatar. Ora, con il sostegno ufficiale di Ankara, Doha e Riyadh, ha consolidato il suo potere e ha ottenuto quella legittimità politica che per anni sembrava irraggiungibile.

Il sostegno di questi attori regionali è un elemento cruciale per comprendere il futuro di Al Shaara. La Turchia lo considera una figura chiave per stabilizzare il nord della Siria e contenere l’influenza curda, mentre il Qatar e l’Arabia Saudita vedono in lui un’opportunità per ridisegnare gli equilibri di potere nella regione, sfidando l’influenza iraniana e la presenza russa. La sua leadership rappresenta quindi una svolta non solo per la Siria, ma per l’intero Medio Oriente. Tuttavia, la sua accettazione sulla scena internazionale rimane un punto interrogativo. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea continuano a guardarlo con diffidenza.

Ma il vero cambiamento che Al Shaara porta in Siria è reale o solo un’operazione di facciata? Se da un lato la sua immagine pubblica si è ripulita rispetto al passato, dall’altro la sua ascesa è ancora legata a logiche di potere regionali e a un contesto in cui il pragmatismo si mescola a calcoli strategici. La presentazione della first lady e la costruzione di un’immagine presidenziale moderna potrebbero non essere altro che strumenti per ottenere la fiducia dell’Occidente, dimostrare di essere un interlocutore affidabile e spingere per una rimozione graduale delle sanzioni. Il suo tentativo di mostrarsi come un leader “responsabile”, aperto al dialogo e distante dal jihadismo del passato potrebbe convincere alcuni, ma non cancella il fatto che il suo potere si fondi ancora su una rete di alleanze militari e sull’uso della forza per mantenere il controllo nelle aree sotto il suo dominio.

Il futuro di Al Shaara potrebbe seguire diverse direzioni. Se riuscirà a consolidare il proprio governo e ottenere riconoscimenti diplomatici più ampi, potrebbe emergere come il leader di una Siria post-Assad, offrendo un’alternativa a decenni di dominio alawita e di repressione. Se invece le pressioni esterne e le rivalità interne dovessero indebolirlo, potrebbe ritrovarsi a gestire un potere fragile, limitato alle aree sotto il suo diretto controllo e sempre esposto al rischio di destabilizzazione.

La presentazione pubblica di Latifa Al Shaara non è solo un episodio di cronaca, ma un tassello di una strategia più ampia. Costruire un’immagine presidenziale, legittimare il proprio ruolo e distanziarsi dal passato jihadista sono passi fondamentali per garantire la stabilità del suo governo e ottenere il riconoscimento internazionale. Ma la domanda rimane aperta: sarà un nuovo “Assad sunnita”, in grado di governare con fermezza una Siria frammentata, o riuscirà a tracciare una via alternativa, modellando un nuovo equilibrio politico per il Paese? La vera incognita è se il suo cambiamento sia sincero o se sia solo l’ennesima maschera di un gioco politico più grande. Il suo destino dipenderà dalla capacità di navigare tra le ambizioni regionali e le sfide interne, in uno scenario dove nulla è ancora definitivamente scritto.

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La “nuova Siria”, ancora prigioniera di un ciclo di dittature e fanatismi

di Zouhir Louassini Rainews (10-12-2024)

Il regime siriano di ieri era oppressivo, e quello attuale non è da meno, se non addirittura più oscuro. Una visione che soffoca ogni speranza continua a prevalere, lasciando un popolo già stremato dalla guerra intrappolato in un ciclo di dolore e repressione. Negli ultimi giorni, la Siria è tornata al centro del dibattito internazionale, ma non per le ragioni che si potrebbero immaginare. Gli sviluppi sul campo mettono in luce le contraddizioni morali di molti osservatori e governi, mentre una narrativa ambigua si adatta agli interessi geopolitici del momento.

Gruppi che fino a poco tempo fa erano considerati terroristi vengono ora descritti da alcuni come “ribelli” o persino “resistenze legittime”. Tuttavia, questo cambiamento terminologico non si basa su una trasformazione reale delle loro azioni o ideologie, bensì su un adeguamento linguistico dettato da necessità strategiche, che cela un pericoloso doppio standard. Le azioni di questi gruppi armati, responsabili di terrore e destabilizzazione, vengono giustificate senza considerare le devastanti implicazioni per il paese. Come si può condannare un attore in un contesto e legittimarlo in un altro? Quali sono le conseguenze per una nazione che da anni paga un prezzo altissimo per la sua instabilità?

L’Islam politico, con le sue molteplici sfumature, condivide l’obiettivo di imporre una visione rigida della società, in opposizione non solo ai valori occidentali, ma anche a ogni tentativo di modernizzare il mondo arabo-islamico. La modernità è spesso percepita come un’imposizione culturale estranea alla tradizione. Questa visione si radica nella Fratellanza Musulmana e negli scritti di Sayyid Qotb, uno dei principali ideologi del movimento, che ha elaborato molte delle teorie alla base del Jihad moderno.

La figura di Sayyid Qotb è centrale per comprendere le radici ideologiche di molti movimenti islamisti contemporanei. Nel suo testo più noto, Ma‘alim fi al-Tariq (Pietre miliari), Qotb teorizza la necessità di un’azione militante, o Jihad, per costruire una società islamica autentica, purificata da qualsiasi influenza occidentale o moderna. Per Qotb, l’Occidente rappresenta una corruzione morale e una minaccia esistenziale per il mondo islamico. Inoltre, egli definisce come jahiliyya (ignoranza pre-islamica) non solo l’Occidente, ma anche qualsiasi governo musulmano che non aderisca rigidamente alla sharia. Il Jihad, secondo questa visione, non si limita alla difesa, ma diventa un obbligo offensivo per abbattere sistemi considerati corrotti o deviati, ispirando movimenti come Al-Qaeda e ISIS.

Le idee di Qotb, unite alla capacità della Fratellanza di adattare il proprio linguaggio, rendono l’avanzata dell’Islam politico ancora più insidiosa. Dietro parole apparentemente rassicuranti si nasconde una visione totalitaria che rifiuta ogni apertura. Questo duplice gioco alimenta non solo il sospetto verso l’Islam politico, ma anche conflitti interni alle società arabe, dove il linguaggio della moderazione è spesso utilizzato per legittimare agende estremiste.

La Siria rappresenta oggi il simbolo di profonde contraddizioni. I cambiamenti di assetto politico non riflettono una reale evoluzione sul terreno, ma rispondono a strategie geopolitiche che trascurano le drammatiche conseguenze per il popolo siriano. Dietro queste nuove definizioni si nasconde una visione totalitaria che rifiuta il pluralismo e ogni forma di compromesso, condannando il paese a rimanere intrappolato in un ciclo di oppressione. Né il regime di Bashar al-Assad né le forze jihadiste offrono un’alternativa credibile in grado di restituire dignità e diritti alla popolazione.

Nessuno rimpiange il regime di Bashar al-Assad, che ha trasformato la Siria in uno stato poliziesco caratterizzato da repressione brutale, torture e violazioni sistematiche dei diritti umani. Tuttavia, la sua caduta non ha portato né pace né libertà, lasciando spazio a nuovi oppressori guidati da ideologie totalitarie che soffocano ogni speranza di cambiamento. La Siria rimane prigioniera di un ciclo di dittature e fanatismi, senza una reale prospettiva di transizione.

La vera tragedia della Siria è il fallimento di una trasformazione autentica, capace di offrire al suo popolo pace, libertà e dignità. Le aspirazioni di milioni di persone continuano a essere tradite da chi sfrutta religione o politica per consolidare il proprio dominio. È tempo di superare le contraddizioni della politica internazionale e di riconoscere che la Siria non può restare intrappolata in un futuro senza speranza. Solo una visione chiara e coerente, che metta al centro le legittime esigenze del popolo siriano, potrà spezzare questo ciclo di sofferenza e offrire al paese una prospettiva di rinascita.

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قمة إيطاليا ـ إفريقيا

ملخص لمقابلة أجراها زهير الوسيني على الإذاعة الوطنية المغربية حول قمة إيطاليا أفريقيا التي عُقِدت في روما  28 و 29 يناير 2024. تم في هذه المقابلة مناقشة إمكانيات التعاون بين إيطاليا والقارة الإفريقية.

يركز الحوار على أهمية تعزيز التعاون بين إيطاليا والدول الإفريقية في مجموعة متنوعة من المجالات مثل التجارة، والاستثمار، والتعليم، والصحة، والتنمية المستدامة. وقد تم تسليط الضوء على الفرص الكبيرة التي يمكن أن تنشأ من هذا التعاون، بما في ذلك تعزيز التبادل التجاري وتعزيز النمو الاقتصادي للبلدين.

كما تم التطرق في المقابلة إلى أهمية بناء جسور دائمة بين إيطاليا والقارة الإفريقية من خلال تعزيز التفاهم والتواصل بين الحكومات والشعوب. يُشجع على تعزيز التعاون الثنائي والتعاون متعدد الأطراف لتحقيق تحول إيجابي في العلاقات بين البلدين.

بشكل عام، تناولت المقابلة أهمية التعاون بين إيطاليا والقارة الإفريقية ومدى تأثيره على التنمية والاستقرار في المنطقة، ودعت إلى تعزيز هذا التعاون لمصلحة البلدين وشعوبهم.

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Marocco, Islam